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ARGOMENTO: Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 10/01/2013 01:03 #7276408

assolutamente vero. mai fidarsi!

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 10/01/2013 01:20 #7276412

continuo con la terra kazaka. mi sa che sono diventato prolisso per davvero...

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 10/01/2013 03:43 #7276415



grooveshark.com/s/Min+Kalbi/3IhXQY?src=5

Sarà per il lieve freschetto sopraggiunto verso le 4.00, più probabilmente per l’emozione, fatto sta che alle 5.00 sono gia pienamente operativo.
Il sole non è ancora emerso dall’orizzonte che io sto cercando un angolino riparato dal vento per fare la prima macchinetta di caffè .
Inizio con i preparativi: oliare la catena, dare una scrollata al filtro dell’aria in cartone ancora pulito (quello in spugna della touratech non arrivò mai), caricare la moto in maniera più equilibrata possibile.
Dedico qualche minuto alla vestizione: oggi niente canottiera ma maglia in cotone a maniche lunghe,
in modo da riparare la pelle dall’azione diretta dell’aria rovente.
Tolgo gli stivali Soho della Alpinestar , egregi su strada anche con queste temperature( viva il Gore-Tex) ma con suola pressoché liscia.
Metto gli anfibi della Magnum, più caldi ma di sicuro più fascianti alla caviglia e con una suola più adatta al fuori strada.
Metto su anche il foulard rosso e grande lasciatomi dalla mia bella, che in caso di sosta al sole è abbastanza grande da coprirmi viso e testa.
L’unica cosa che non posso cambiare è il giubbotto NL5 della Spidi che, anche se traforato, è comunque nero e fa caldo solo a guardarlo
( cosa di cui mi rimproverava il giorno prima il Cacciatore, dicendomi che ho bisogno di indumenti chiari per girare a queste latitudini).
Alle 6.00 sarei gia pronto per partire, ma non ho idea di dove siano tutti i miei dispositivi
(telefono, fotocamera, videocamera) e il padrone di casa ancora non si vede.



Né tantomeno mi hanno detto dove comprare la kanistra per la benzina, avendo ricevuto promessa di averla in dono da Ekhemet.
Sono le 7.30 passate quando finalmente il mio ospite compare in giardino e , letteralmente, mi ordina di andare a fare colazione.
Scopro a mie spese quello che avevo intuito l’anno prima in Turchia, ovvero che l’ospitalità islamica può diventare
un piccolo e benevolo sequestro di persona.
Dopo la colazione si va a prendere la tanica e a riempirla di benzina.
Non prima che il mio amico abbia fatto tutti i suoi giri di lavoro, mentre si alza una discreta tempesta di sabbia.
Mentre siamo fermi non so dove, vedo passare due moto da enduro, e vorrei correre da loro e dirgli di fermarsi e aspettarmi .
Sto per diventare preda di un’ angoscia sottile e penetrante: sarei pronto da ore per partire,
ma sono costretto a subire un’ ospitalità che non ammette deroghe e deve essere attuata fino in fondo con
tempi e modi che cominciano a diventarmi nocivi.
Alla fine, come promesso, è lui a darmi una delle sue taniche in acciaio,
recuperata in una sorta di officina TIR di sua proprietà,
non prima di aver diretto le operazioni di carico di un intero motore sul pianale di un cassone scoperto di
un minaccioso camion Kamaz di epoca sovietica.
C’è solo un problema:la tanica è da 20 litri, per me pesantissima!
Un’ altra mezz’ora o poco più va via mentre facciamo la fila per riempirla. Io sono incazzatissimo e nervosissimo.
Anche perché devo di nuovo sistemare i bagagli, avendo preventivato 10 litri di tanica e non più.
Alla fine riesco a partire che sono le 12.00 ora locale. Ho con me 20 litri di benzina e, non avendo più posto, solo 4 di acqua in totale
(le due bottiglie in alluminio della Quechua da 1.5 lt e il rimasuglio di una bottiglia ghiacciata).
Ci metto poco a trovare la strada da fare: mi viene indicata una strada bianca che si dirama a destra della strada per Enbaaul.
Si tratta di un rilevato stradale molto ampio di fango rinsecchito, in alcuni punti davvero impraticabile per le buche e i solchi dei veicoli.
Credo risalga ai tempi dell’URSS, visto che di tanto in tanto si scorgono brandelli di asfalto ingrigito e sbriciolato.





La cosa più conveniente da fare è utilizzare una delle centinaia di tracce che corrono nella stessa direzione
utilizzando la strada bianca come riferimento.
La cosa è fattibile: la consistenza del terreno è buona e anche quando si incontrano dei tratti sabbiosi,
questi non sono mai così soffici da farmi rischiare una caduta.
Occorre però stare attenti: quando si comincia a prendere velocità i ciuffi di sterpaglie sono abbastanza duri e destabilizzano un po’.
Ma il problema vero non è questo, affatto.
La vera difficoltà è data dal peso complessivo della moto:
prima ero pesante ma ora, con 20 litri di benzina sul sedile posteriore,
ho completamente annullato l’agilità di un mezzo nato per queste cose.
E’ come se mi portassi dietro due serbatoi invece che uno.
Certo, il peso è ben bilanciato: su asfalto sarei un proiettile di una stabilità invidiabile.
Ma in questa situazione ogni avvallamento o buca fa scendere vicino al fondo corsa l’ammortizzatore posteriore.
Per di più in diversi tratti devo rallentare l’andatura per l’incertezza e il peso,
e il fatto di essere così pesante mi rende difficile manovre repentine che sarebbero necessarie a evitare intoppi.
Provo a salire per un paio di volte sulla dura pista fangosa, ma i profondi solchi lasciati dai SUV e
la superficie generalmente dissestata mi fanno ridiscendere.
La pista a lato è divertentissima da guidare e tutta la situazione lo sarebbe, ma io non me la sto affatto spassando.
Sono pensieroso. Sono preoccupato. Di colpo mi si chiarisce cosa non mi convinceva finora.
Tutte le raccomandazioni e dritte che mi hanno dato vengono da persone che si muovono in auto:
i venti litri di benzina, farmi partire a mezzogiorno, usare una tanica in plastica
(“quando la svuoti poi la bruci”, diceva Samat) sono tutte cose che fai tranquillamente se hai 4 ruote e un climatizzatore.
Oltretutto in 30 km di pista non ho incontrato essere vivente se non mandrie di bovini e di cammelli.
Un fil di ferro arrugginito che mi finisce tra i raggi mi fa temere il peggio ma è un falso allarme.
Poco più avanti scorgo i volumi di una fattoria che spiccano scuri contro l’azzurro del cielo.
Devio e mi fermo nella speranza che ci sia qualcuno a dirmi se la direzione è giusta.
E’ completamente deserta e dal puzzo acido è sicuramente un ricovero per cammelli.
Ricevo un sms di mio fratello, il più grande, che mi chiede se sono gia di ritorno.
E tutto questo mi fa agitare ancora di più, arrivando in questo momento di perplessità come un segno del Cielo.
Telefono a Samat per sapere se la direzione è corretta e mi risponde affermativamente,
anche se non lo convince il fatto che all’una stia ancora lì.



Riparto seguendo la bussola in direzione sud-est.
Il caldo si sente tanto, ma l’accorgimento della maglia mi fa sopportare meglio il vento arido.
Nonostante questo, tiro le somme e mi convinco che è il caso di tornare indietro.
Mentre vado in linea retta a bassa velocità mi dico :
” No, non è il caso di continuare. Metti che succede qualcosa…
non tanto bucare che pure sarebbe una rottura di palle, ma se cado e mi rompo qualcosa chi mi recupera?
E metti che poi…”

VRROOUUUUMMMMM BL BLSSTCIUFF SPUTT!!!!!:

Sento la moto e tutto me stesso arrestarsi e sprofondare come se una mano gigantesca fosse sbucata da sottoterra a tirarci giù.
In un attimo le mie scarpe poggiano sul fango mentre io urlo le mie Madonne al deserto indifferente.
Sì, cazzo! è successo quel qualcosa che non doveva succedere:
Mi sono impantanato nel fango di una delle migliaia di croste essiccate su cui sono passato.
Solo che questa era essiccata in superficie e fresca sotto: le pozze termali piene al mattino, vaffanculo!
Smonto dalla sella e provo inutilmente a spingere mentre do gas.
Nulla!
Scende ancora di più.
Provo a mettere sotto la ruota un pezzo di legno trovato lì vicino dopo aver provato con una pietra piatta.
Nulla!
Anche togliendo i carichi dalle valige e gli strafottutissimi venti litri di benzina.
Sprofonda fino a toccare con le valigie mentre io sono un pezzo di fango maleodorante fino alle ginocchia, assalito da mosche assetate.
Era meglio bucare, molto meglio!
Non c’è copertura GSM ma niente panico:
considerando che dalla fattoria ho fatto non più di 10 km tutta questa situazione si traduce in
una enorme, grandissima, incommensurabile rottura di cazzo e niente più.



Mentre metto insieme bagagli e giubbotto e copro la tanica di benzina,
maledico me stesso per la mia stupidità e penso che se fossi stato insieme a un’altra moto,
tutto questo sarebbe stato motivo di gran risate e divertimento.
Mi incammino alle due del pomeriggio con macchina fotografica,
portafogli e borraccia da un litro e mezzo sotto il sole cocente, la testa avvolta nello scialle.



Mentre vado controllo spesso il telefono per verificare la copertura.
Ma nulla per km e km.
La borraccia si svuota rapidamente, anche se centellino ogni goccia.
Più che bere, mi inumidisco bocca e labbra.



Dopo forse un’oretta comincio a sentire voci di donna in lontananza,
ma intorno non c’è nessuno: è lo sciacquio della poca acqua nella borraccia e,
anche se ho scoperto da dove proviene, continuo lo stesso a sentire voci di donna che cantano lontane o mi sussurrano all’orecchio.
Così come sento suonare il telefono, anche se so di essere fuori campo.
E alle allucinazioni si aggiungono i miraggi.
Sulla sommità di una piccola collinetta vedo dei volumi scuri apparire nell’aria ondeggiante per il caldo.
Credo sia la fattoria; in fondo non ho fatto molti kilometri da lì prima di affondare la moto.
Ringalluzzito dalla meta che si avvicina accelero il passo ma, man mano che mi avvicino,
mi accorgo che la vista è solo una visione che svanisce al mio approssimarmi.
E questo per altre due o tre volte almeno, tanto che alla fine non ci credo più.
In tutta questa desolazione neanche un albero, un cespuglio, un arbusto più alto di un ciuffo dove ripararmi.
Sfilano davanti a me animali come lepri , in lontananza vedo qualcosa somigliante a una volpe.
In cielo volano un paio di quelli che sembrano falchetti e mi viene da ridere pensando ai western in cui
il malcapitato sta per morire nel deserto e gia gli avvoltoi sono pronti a far banchetto con la sua carogna.
Penso che a quest’ora i miei stanno per scendere a mare mentre mia cognata prepara, insieme alla madre,
un pranzo che farà crollare i commensali per sopraggiunti limiti di capacità gastrica.
Penso che la mia metà sta ancora nell’ultima fase R.E.M. prima del risveglio tra i monti dell’Ecuador,verdi e umidi,
e magari sogna un deserto ingiallito da un sole spietato con in mezzo una strada bianca.
E mi chiedo che minchia ci stia facendo io quì.
Dopo tre ore e mezzo di cammino sono alla fattoria dei cammelli puzzoni e finalmente posso mettermi all’ombra.
La mosca con cui ho fatto amicizia nel fango tuttora non mi molla.
Mi ritrovo a parlare con lei e a chiederle di lasciarmi perdere per qualche minuto.
Sarà stata un’allucinazione anche quella, ma mi ha accontentato.





La prima telefonata a Samat non va a buon fine.
Sono comunque pronto al piano B, ovvero riposarmi e raggiungere la città di notte.
Al secondo tentativo risponde e gli spiego la situazione chiedendogli di venirmi a prendere con
un mezzo capace di tirare la moto e di portare anche un cavo di traino.
L’impressione che ho è quella di procurargli un certo fastidio e me ne dispiaccio.
Mi aspetto che inizi un giro di rimpalli tra lui e i suoi amici e che alla fine sbuchi il Cacciatore con un SUV clamorosamente attrezzato.
In realtà al mio istinto di sopravvivenza poco importa di rompere le palle:
sarei tornato indietro da me se non avessi avuto quel contrattempo.
E comunque mi ha dato disponibilità e l’ho allertato.
Su sua richiesta gli invio le coordinate gps e mi dice che entro un’ oretta dovrebbe essere lì.
Il tempo non passa più. Mi sento completamente arso e neanche fumare mi da sollievo.
L’unico punto in cui il telefono funziona è in pieno sole e ogni volta che vado a vedere se ci sono novità è una tortura.
E’ chiaramente visibile al centro dello spiazzo della fattoria un pozzo.
Se non avessi trovato Samat al telefono, avrei tirato su l’acqua per i cammelli e bevuto per poi arrivare in città e ricoverarmi per epatite e tifo, anche se vaccinato per questo.

giusto per capire :



Vedo all’ orizzonte una nuvola di polvere sfrecciare lontano da me verso delle casupole e chiamo samat credendo sia lui.
Non è lui che vedo ma mi dice che arriveranno con un “truck with a blue cabin” entro pochi minuti.
Alla fine arrivano con una UAZ grigia degli anni forse 60.
E’ bellissimo vedere arrivare in mezzo alla polvere quattro ruote amiche.
Ed è ancora più bello trovare dentro questo furgone 10 litri d’acqua:
la più buona e fresca e dolce di tutta la mia vita anche se discretamente calda.
Salgo dietro nel furgoncino guidato dal fratello, che ovviamente conosce quella zona come le sue tasche.
Sono stupefatto dall’agilità di questo scassone di 50 anni che con 4 ruotine si arrampica ovunque.



Ilmio punto di riferimento sono tre cespugli in fila.
Percorriamo 15 km prima di raggiungere la moto.
Per prima cosa il fratello di Samat apre lentamente, facendola sfiatare, la tanica di benzina, ormai pronta esplodere dopo ore sotto il sole.
Samat mi dice, un po ridendo un po incazzandosi:
“ Antonio, sei nel deserto perché sei passato da qui? Potevi andare lì, o lì, o lì! Proprio qui dovevi passare?”
“Samat, sono una persona precisa, se vedo un bersaglio miro al centro!”
Comunque sia, attacchiamo il cavo al gancio di emergenza sulla forcella e io e Samat restiamo nel fango a spingere.
Dopo un po di Madonne riusciamo a tirarla fuori e
dopo le foto di rito stiamo per qualche minuto a togliere il grosso del fango infilatosi in ogni cavità.





Caricate le borse e la benzina sul furgone vado dietro a loro per ritornare a qulsary.
E mi sembra un'altra moto: altissima, leggerissima e guidabilissima.
Mi rendo conto che se non avessi avuto tutta quella benzina probabilmente sarei uscito dal fango senza affondarci.
Magari sarei sbandato, avrei dovuto forzare un po ma non ci sarei finito dentro così.
Passiamo dalla fattoria perché Samat vuole finire la sua predica.
Mi indica il lastrone di cemento al centro del piazzale chiedendomi se so cos’ è quello.
Gli dico che lo so, ma lui alza lo stesso la botola e tira su un secchio di acqua piena di mucillagine
facendomi lezione sulla transumanza dei cammelli:
Quel ricovero è abitato d’inverno quando i cammelli stanno al chiuso.
Ora è estate e sono liberi e per questo non c’è nessuno a viverci.
Gli dico che tutto questo l'avevo capito e che i ricoveri invernali delle bestie ce li abbiamo anche noi , ma prima di beccarmi l’epatite ti chiamo e ti chiedo se ci sei. Se so che vieni non bevo, altrimenti bevo. Lui mi risponde secco: “This is not Italy. This is the real world.”

Vorrei rispondergli che quello è il terzo mondo, ma la mia autostima dopo quest’ultima stoccata crolla a livelli sotterranei.
Con la coda tra le gambe e le orecchie basse accendo la moto e seguo la UAZ con dentro i fratelli Kushembaev
mentre solca le piste migliori di quel deserto che non ho saputo prendere bene.


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Il tramonto è fantastico coi suoi rossi intensi e blu sul pallore della sabbia.
Non ho mai visto questi colori e lo spettacolo mi ripaga di tutta la fatica del viaggio fatto finora.
Seguo la nuvola di polvere davanti a me cercando di non avvicinarmi troppo per non respirarla.
Questo polverone ha un aspetto amichevole e familiare.
La sera prima, com’è ovvio, non potevo fidarmi completamente di queste persone, anche se ho dato credito alle loro parole.
Quando mi chiesero quanto costasse la mia moto ho detto qualcosa come 1500 euri mentendo spudoratamente:
subito mi hanno proposto di iniziare un import export di moto usate dall’Italia al Kazakhstan.
Mi chiedevano quanto guadagno, come vivo. domande normali ma la situazione non era normale.
Non è cattiveria, ma sono da solo a migliaia di km da casa, dove nessuno mi rivendica,
e questi potrebbero benissimo farmi trovare qualcuno 10 km più avanti sulla mia strada,
fottermi tutto e farmi sparire nel nulla.
Non li conosco, eppure mi sono venuti a salvare.
Sembrerebbe di vivere uno spot dell’amaro Montenegro, se non fosse per il fatto che invece di archeologi cazzuti e anfore da salvare
quì c’è un cretino su una moto venuto da lontano per cacciarsi nei guai.
Mentre finalmente mi godo la sabbia del deserto, zompettando e sgommando sugli avvallamenti, penso che
Cristo dopo quaranta giorni di deserto è tornato da Messia, io dopo tre ore ritorno da coglione.

Ci avviciniamo alla città in un punto diverso da dove ero partito e andiamo verso casa del fratello di Samat.
Lì vengo accolto dalla moglie, dal figlio e dalla madre.
Sono tutti sorridenti e ospitali e anche se Samat continua a infierire con il suo sguardo e le battute,
la disavventura non sembra aver scalfito l’immagine del viaggiatore avventuroso mentre io vorrei solo sprofondare.
Samat insiste perché io sia suo ospite per la notte e non accetta storie.
Carico la moto e per ringraziare lascio la tanica di benzina al fratello.
E do 20 euro come souvenir al ragazzino, facendo un po indispettire la nonna che mi chiede se ho bisogno di soldi.

Samat vive anche lui in una casa a un solo livello con ampio soggiorno ma,
a differenza di Ekhemet, non ha un bagno interno in costruzione, cosa che qui è una vera schiccheria.
Faccio una doccia nel bugigattolo in legno nel giardino e l’acqua del boiler solare è davvero a temperature da ustione.
Il mio amico vive con la giovane moglie dall’aria dolce e gentile, le due bambine e il padre, un simpatico signore sui 70 anni circa.
La moglie di Samat, a differenza di quella di Ekhemet, porta il velo.
Prima di cena Samat mi mette a disposizione il suo computer con skype e finalmente riesco a vedermi via monitor con la mia metà che,
appena vista la mia cera, ha subito avuto bisogno di rassicurazioni che non fosse successo niente di grave.
Le dico della disavventura e del fatto che non mi sento così convinto di andare avanti,
che la meta è troppo lontana e a questi ritmi non è più una vacanza.
Non nego di innervosirmi un po quando mi chiede lumi su tempi e modalità del mio ritorno,
se via terra o via mare e quando. Non ho la più pallida idea di che direzione prendere né di quanto tempo avrò bisogno.
E forse la cosa che più mi infastidisce è che tutti mi ricordano che devo tornare, prima o poi.
La conversazione dura comunque pochi minuti, dato che la cena è pronta e arriva l’ordine di andare a mangiare.
La padrona di casa ha preparato una cena davvero squisita,
ma la cosa che di più gradisco è il thè bollente che facciamo raffreddare in tazze simili a dei piattini alti.
L’insalata è addirittura condita con olio d’oliva di cui i padroni casa vanno fieri, anche se da noi farebbe ridere definirlo tale.
Samat conosce molto bene l’inglese perché rappresentante di una ditta che costruisce ricambi di parti meccaniche e
per lavoro viaggia spesso in tutta l’Europa.
La moglie non sta ferma un attimo, provvedendo sempre a portare altro the o acqua e pietanze.
Quando mi alzo per riempirmi da solo il bicchiere d’acqua, lui quasi si offende dicendo che dev’ essere La moglie a farlo per me.
Capisco che quello che per me è un normale gesto di cortesia, in quella casa diventa mancare di rispetto a un ruolo preciso e importante.
Dopo cena usciamo in giardino con le bambine dove, a stomaco pieno, posso fumare finalmente con gusto una sana sigaretta di tabacco.



I suoi modi sono schietti e diretti.
Mi chiede secco: -“Allora Antonio… hai una fidanzata ma hai 40 anni e ancora non sei sposato. Perché non sei sposato?”
Dico anche a lui quanto detto al commensale in Russia, la storia dei costumi che sono cambiati etcetera.
Lui mi risponde: -“ E’ per questo che non lasciamo libere le nostre donne, così la società va avanti senza problemi!”
Non posso non pensare ai dispiaceri che tra qualche anno gli provocheranno le due splendide bambine,
quando diventeranno adolescenti incontenibili nell’era dell’internet 2.0 mentre lui invecchierà rammaricandosi del mondo che cambia.
Parliamo un po della sua nazione. Mi dice che in quelle zone ci sono escursioni termiche di 100 gradi.
Anche se stiamo sotto il livello del mare in inverno si a arriva a -40 gradi.
Mi informa che la giornata appena passata ha toccato punte di 60 gradi.
Non ci sono tensioni separatiste in nessuna regione del Kazakhstan,
il popolo è abbastanza compatto e non dice niente di spiacevole nei confronti del presidente Nazarbaev che dal 1989,
con vari stratagemmi, governa incontrastato.
Del resto il Kazakhstan è un’invenzione dell’URSS per dare un’ inquadramento a una confederazione di tribù nomadi (raggruppati in tre Orde) che nel 18° secolo giurarono fedeltà alla corona russa.
E’ sempre stato un tratto distintivo di questo popolo la multi etnicità, e l’attuale governo tende a fare di questo tratto un motivo d’orgoglio.

Dopo altre chiacchiere in giardino insiste per mettere le mie cose in lavatrice e guardare insieme il da farsi per il prosieguo del mio viaggio.
Valutiamo il trasporto aereo dall’Uzbekistan o dal Kazakhstan ma costa un fottìo.
Dice che dovrei contattare uno spedizioniere amico suo per mettere la moto su un tir,
ma l’ipotesi è improponibile per me: è il mio unico mezzo di trasporto e deve tornare a Roma con me.
Quando poi cominciamo a guardare googlemaps succede qualcosa che ancora non mi spiego completamente.
Praticamente inizia a bloccare tutte le mie alternative:
Mi sconsiglia di andare in Uzbekistan da Beyneu dicendo che la strada è allucinante.
Mi parla di sabbia alta e tir che alzano polveroni impenetrabilii.
Gli dico che allora vado nel Mangystau a vedere le moschee sotterranee:
-“Peggio! Anche se segui le Uaz che portano i fedeli in pellegrinaggio non è sicuro che ci arrivi perché anche loro ci si perdono.
E poi ci sono dei canion che si aprono dal nulla e corri il rischio di caderci dentro.”
-“ Sì, ma da fort Schevchenco potrei prendere un traghetto che mi porta in russia.”
-“ Si ma non sempre ci sono e non portano passeggeri. Ma poi… perché vai in Uzbekistan? Lì c’è miseria, la gente scappa da lì per venire qui da noi. E’ tutto deserto, sono rozzi e arretrati, nessuno parla russo e non troverai un collegamento internet. E poi c’è sempre quella strada maledetta da fare: sono 600/650 km senza benzina ne civiltà.”
-“ Ok, ma è una via di collegamento principale e io ho visto foto di quella strada ed è asfaltata.”
-“ No, non lo è. E’ solo sabbia.”
-“Allora vado su una pista parallela”
-“Guarda quante sono, corri il rischio di perderti”
-“Allora mi oriento con la ferrovia”
-“La ferrovia? Mai sentito di qualcuno che si orienta con la ferrovia.”
-“…”
-“che cosa strana! Orientarsi con la ferrovia!”
-“E allora che faccio? Torno a casa?”
-“Sì, secondo me è meglio se torni a casa.”
-“…”
Quest’ultima conversazione ha letteralmente distrutto la mia ormai tentennante voglia di andare avanti.
Se qualcuno che è nato e cresciuto in quei posti mi dice queste cose, vuol dire che non è cosa mia attraversare quei territori.
Se tutte le strade sono delle piste e il clima è così inclemente,
che possibilità posso avere io di andarmene tranquillamente in giro, per di più da solo?
C’è una vocina che mi sussura l’incongruenza con i suggerimenti di ieri sera,
quando mi si diceva di andare tranquillamente nel deserto vero,
mentre adesso anche le strade principali sono impraticabili e pericolose.
La cosa non quadra proprio alla vocina. Ma non la ascolto.
Mando un sms alla mia bella dicendole che non me la sento, che torno indietro e che vado a finire la mia vacanza nel Caucaso,
per poi prendere un traghetto sul mar nero che mi porti da qualche parte verso ovest.
Ottengo anche in questa casa di dormire sul palchetto in giardino, sotto le stelle.
Rimaniamo d’accordo che l’indomani andremo a lavare la moto, prima di ripartire verso ovest.
Forse per la stanchezza della camminata nel deserto a 60 gradi, forse per il sole che ho beccato,
la prospettiva di tornare indietro non mi sconvolge più di tanto e
mi addormento nella brezza notturna che per qualche ora mi accarezzerà infarinandomi leggermente con la sabbia del deserto.
Un sms della mia bella mi dice che per andare avanti qualche volta bisogna tornare indietro.
Questo mi rasserena facendomi dormire un sonno tranquillo e ristoratore.
-“ Non devo dimostrare niente a nessuno se non a me stesso”, mi dico mentre scivolo nell’oblio,
” e se a me sta bene non importa cosa ho detto al mondo prima di partire.
Quindi fanculo tutto: Samarcanda, il viaggio, l’avventura e tutte queste minchiate.
Ora dormo e domani torno indiet…..RONF!”-

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 10/01/2013 10:37 #7276462

:inchino: :inchino: :inchino: :inchino: che storia :shock:
Ora sono proprio curioso di leggere il prossimo pezzo :book:
Ti faccio ora come prima i miei complimenti!!!
Se io mi fossi arenato sarei rimasto ad aspettare qualcuno e immagino sarebbe stata la mia rovina... Mi hai appassionato :ciao: :ciao: :ciao:

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 10/01/2013 11:41 #7276478

grazie Daniele,
purtroppo devo chiederti di pazientare un po perchè ancora non ho scritto tutto, altrimenti chissa quando avrei pubblicato.
il seguito di questa tappa sarà cmque entro il weekend.
Non credo avresti aspettato neanche tu: non c'era assolutamente anima viva, ne su due ne su quattro zampe.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 10/01/2013 17:42 #7276577

  • giotri
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che roba

è impressionante, affascinate, e terrificante allo stesso tempo

complimenti


ps
e io che pensavo che la tnerella fosse anfibia

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 11/01/2013 00:37 #7276704

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Stiamo aspettando la cronaca del ragionamento che ti ha fatto cambiare idea... 8)

Ti è andata bene, va!

:ciao:


Il mio vecchio SWM 125 Six Days ER sarebbe fiero di me...

"Gira che è una meraviglia!"

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 11/01/2013 01:02 #7276708

ciao fernik :ciao:
entro la fine della settimana dovrei riuscire a postare, lavoro permettendo.
Perdonami se ancora non sono passato dal tuo topic.
In realtà sto pensando molto al tema, e scrivere di questo viaggio mi sta aiutando a focalizzare meglio.
Sono contento vi stia piacendo :D

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 11/01/2013 13:52 #7276799

  • fabio78
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:D visto a dare retta ai Kazaki che succede?????
ma scommetto, che come me, gli avrai dato retta ben altre volte :D :ciao:
... UN VIAGGIO DI MILLE MIGLIA DEVE COMINCIARE CON UN SOLO PASSO .

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 11/01/2013 14:09 #7276819

:D visto a dare retta ai Kazaki che succede?????
ma scommetto, che come me, gli avrai dato retta ben altre volte :D :ciao:

e vinci la scommessa.... tra un paio di giorni ti dico perchè :D

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 11/01/2013 22:57 #7276997

  • Fernik
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ciao fernik :ciao:
entro la fine della settimana dovrei riuscire a postare, lavoro permettendo.
Perdonami se ancora non sono passato dal tuo topic.
In realtà sto pensando molto al tema, e scrivere di questo viaggio mi sta aiutando a focalizzare meglio.
Sono contento vi stia piacendo :D



Si, si... Ti perdono di scrivere in un modo molto originale, ma sincero, quasi di getto, ma di una naturalezza meditata.

Sono le parole ed il tono di chi si racconta ad un amico, mentre si sta seduti ad un tavolino coperto di bottiglie di birra... vuote! :mrgreen:

E non è il primo amico a cui racconta queste avventure!


Per il "mio" topic, non c'è fretta! Guardati ancora un po' dentro.

Però mi pare di poter già dire che il tuo viaggio, almeno questo viaggio, ha una componente di sfida, non solo verso te stesso, ma anche verso gli altri e che il rapportarti spesso con gli altri varia il rapporto verso te stesso ed introduce nei tuoi pensieri incertezza ed indecisione.

E' solo un'impressione, eh! :oops:

:ciao:


Il mio vecchio SWM 125 Six Days ER sarebbe fiero di me...

"Gira che è una meraviglia!"

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 13/01/2013 20:57 #7277482

Eh fernik.... c'hai l'occhio lungo tu! :lol:
Sto finendo di scrivere questo capitolo e entro stanotte dovrei postare....
avrete di che leggere domani

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 14/01/2013 01:16 #7277564

Capitolo 5
Kazakhstan Atto I- Il Minchia Del Deserto


Un’altra piccola tempesta di sabbia si abbatte su Kulsary, annunciata dalla sabbia che la brezza mi ha depositato addosso nella notte.
Tra sveglia e colazione mi collego rapidamente sul social network per annunciare il grande ritiro e
provo una fitta al cuore leggendo i commenti di incoraggiamento di chi sporadicamente riceve mie notizie.
Mentre andiamo all’autolavaggio la tempesta, oggi molto blanda, si placa del tutto e io mi chiedo se sono davvero convinto della mia decisione.
Non lo sono del tutto ma mi sento che è l’unica via praticabile.
A Samat ho chiesto di dare istruzioni perché lavino solo con l’acqua, giusto per togliere il fango.
Il ragazzo invece prende a lavare con lancia e schiume detergenti.



Io realizzo in quel momento che con quest’operazione mi stanno cancellando 8000 km di viaggio come se fossero i farneticamenti di un folle.
Sono così smarrito e ferito che non mi preoccupo neanche della lancia che spara acqua ad alta pressione sui connettori del motore.
Non me ne fotte nel modo più assoluto.
L’unico pensiero va al sogno sfumato di un viaggio troppo grande per me.
Mentre il mio animo è devastato da questi pensieri, tutta la fauna dell’ autolavaggio è rapita da questo mezzo che a loro sembra un’astronave,
tutti lì a fare foto coi telefonini e a sorridermi e a cercare di farmi domande.
Ma io non ho voglia di parlare, vorrei prendere quella lancia dell’acqua e infilarla dove so io a quel cazzone che sta cancellando le mie fatiche.
Alla fine lui gongola orgoglioso del lavoro fatto, io sprofondo nella depressione più cupa.
Vorrei davvero piangere.
Torniamo a casa e carico più velocemente possibile, dato che Samat ha degli impegni, declinando l’invito di fermarmi un altro giorno.
Mentre stiamo lì a salutarci, la moglie mi porta dei souvenir:
un cappello di lana di cammello per me e un piccolo cammello di peluche “per la tua fidanzata”.
Questi non solo mi cavano dal deserto e mi ospitano, mi fanno anche i regalini.
Ringrazio sinceramente dal profondo Samat e gli auguro ogni bene possibile.
Saluto tutti convinto di tornare a casa.



Mi fermo alle porte della città per comprare l’acqua, e trovarla ghiacciata mi fa perdere un po di tempo per passarla nelle borracce.

Penso che se parto spedito per la sera posso essere al confine russo e magari dormire ad Astrakan nella stessa casa per poi l’indomani girare a sud verso la Cecenia.
Il mio sguardo cade sullo specchietto ormai splendente e vedo la faccia di uno che ha perso un' occasione importante,
e questo mi deprime ancora di più.
Sono lì a travasare l’acqua nelle borracce, sbattendo l’ultimo pezzo di ghiaccio rimasto nella bottiglia di plastica per frantumarlo,
quando si avvicinano i due soliti tipi a fare le solite domande.
Io non ho molta voglia di parlare, ma sono simpatici e uno in particolare, quello più panzone con i denti d’oro e gli occhiali da sole in metallo,
conosce anche un minimo d’inglese.
Quando gli racconto del mio viaggio manifestano la loro ammirazione mordendosi il labbro inferiore mentre scuotono la testa,
gesto comune che da queste parti equivale all’americano “WOW!”.
Gli dico che volevo arrivare a Samarcanda ma desisto perché troppo difficile,
raccontandogli della disavventura del giorno prima e del mio senso di inadeguatezza alla cosa.
E mentre gliela racconto comincio inconsciamente a dare il giusto peso all’accaduto.
Così chiedo info sulla frontiera di Beyneu.
Mi dice che la strada è brutta da Beyneu fino alla frontiera, ovvero un’ottantina di km.
Poi ricomincia l’asfalto. Che i km totali senza benzina sono circa 450/500.
Gli chiedo se è sicuro di quanto sta dicendo, perché gente di Qulsary che si è dimostrata amica mi ha appena detto il contrario.
Risponde di sì: non è sicuro di come sarà l’asfalto, quanto grandi siano le buche, ma di sicuro c’è e comunque la strada è fattibile.
E in ogni caso, come dicevo io, è una via principale di collegamento tra due stati e se succede qualcosa c’è chi puo dare una mano.
Bastano queste parole a riaccendere la vampa della curiosità e del possibilismo.
Anche la vocina della sera prima ricomincia a parlare urlandomi che “ lo vedi qua che le cose non tornano? Lo vedi qua che si può fare?”
La cosa deve essere visibile dall’esterno:
mentre mi salutano il tipo, mostrando il suo sorriso a 18 kt, mi dice che sono un eroe.
Gli rispondo che:
-“No! sono solo un Idiota, non un Eroe!”
-“ Idiota o Eroe, chi può dirlo? Se non lo fai non puoi saperlo !”
E vanno via mentre lui sorride e l’altro, il più giovane, continua a mordersi il labbro scuotendo la testa.

grooveshark.com/s/Toulouse+Groove/3Gh8nn?src=5

Minchia, e adesso? Inizia l’ora più carica di dubbi degli ultimi anni.
Trovo riparo dal vento sotto una pensilina del bus dove confronto le mappe e le guide di Russia e Asia Centrale, calcolo percorsi col navigatore.
Sì, il Caucaso russo è una meta da fare prima o poi, è verde, fresco, ci sono le terme.
Ma è un altro viaggio, non questo.
Dopo tutta questa strada e le difficoltà non ho voglia di andare a fare il pensionato tra le montagne.
Mi sembra di mollare tutto sul più bello.
Prendo il passaporto, riguardo i visti e faccio un po di conti sulle durate e i periodi di ingresso e uscita:
ho sforato rispetto ai piani ma ci sono ancora i tempi per fare tutto, anche se risicati.
Vedere il visto Uzbeko senza timbro della polizia di frontiera mi fa più male dell’arrendermi alla prima difficoltà.
Che poi difficoltà non è neanche la parola giusta:
è stato un incidente di percorso, una leggerezza che poteva costarmi la vita se fosse tutto successo 100 km più avanti, ma forse no.
Chi può dirlo? “se non lo fai non puoi saperlo!”
Comincia a diventare una piccola questione di principio: anche solo entrare in Uzbekistan fare una città e ritornare indietro sarebbe una piccola vittoria.
A metà ma sempre una vittoria.
Una sensazione a metà tra la paura, l’eccitazione e la voglia di lasciar perdere tutto s’impossessa dei miei pensieri,
mentre la vocina mi dice che ORA ho la possibilità di farlo e chissa quando potrò di nuovo.
Vado? Non vado? Che faccio, torno a casa? Vado avanti? No torno indietro! NO! Col cazzo che me ne vado a casa!
VADO AVANTI! Fosse anche solo per mettere un timbro sul visto e uscire il giorno dopo. Vado!
Ci metto un po a trovare la strada per Beyneu, girando avanti e indietro sulla strada periferica della cittadina.
Fanculo pure al navigatore che ci mette un eternità a calcolare i percorsi.
L’unica cosa che temo è di essere colto in flagrante da Samat o qualcun’ altro di conosciuto.
Mi sento come se fossi Pinocchio, Lucignolo e Mangiafuoco che scappano tutti e tre insieme sulla stessa moto, di nascosto da gendarmi ,fatine e grilli parlanti. Incarnato in questa laica trinità mi pervade un senso di onnipotenza delirante, facendomi sentire davvero eterno per un momento.
Ne sono certo: mi muovo veloce da uno stato all’altro contro ogni previsione e cambiando idea di continuo e
se la morte mi cercherà, quando arriverà non mi troverà da nessuna parte,
e se anche dovesse tagliarmi la strada ne sarà comunque valsa la pena.
E’ uno dei pomeriggi più belli di tutto il viaggio.



Vado verso sud correndo su un nastro d’asfalto che taglia in due il deserto.
Sulla sinistra la ferrovia e,in lontanza, i rilievi montuosi che avrei dovuto attraversare per andare ad Aral, almeno credo siano quelli.
E sempre quei maledetti affioramenti d’acqua salina che vedo dalla calmucchia.
Mi fiondo a 120 kmh sull’unica strada degna di questo nome da tre giorni a questa parte con
un forte vento laterale che mi fa viaggiare inclinato quasi costantemente.
Di tanto in tanto qualche villaggio con i suoi tetti di lamiera, il suo cimitero e i corsi d’acqua che brillano nel giallo del deserto.
Qui la vita sembra scorrere sempre uguale, monotona e sonnecchiante e a parte il clima le uniche cose che sembrano cambiare sono i TIR parcheggiati nelle polverose piazzole di sosta delle chaikhane a bordo strada.
Mangio a pochi km da Beyneu nel locale di una simpatica signora.
Anche qui le mamme cazziano i figli che non hanno voglia di fare nulla.



Faccio anche il pieno al serbatoio. benzina a 80 ottani va benissimo, anche Sofia è onnipotente.
Entro a Beyneu e trovo il bazar di fronte alla stazione.
Lì mi dicono troverò la kanistra.
Ecco, adesso è il mio viaggio, ora ci sono.
Sono in un Bazar dell’Asia Centrale e sto contrattando il prezzo per una tanica d’acciaio da 5 litri.
Lascio il casco come garanzia per andare a vedere l’ingombro sulla moto. 5 o 10 litri?
No 5 vanno benissimo!
Mi informo per una camera al motel di fronte la stazione ma costa troppo. Torno indietro alle porte della città. Mi fermo davanti a uno visto prima e ci trovo davanti turisti europei che bevono birra.

(mi perdonerete per aver lasciato il tappo stagno sul microfono dell'actioncam, vero? :oops:

Saluto, entro. All’interno sembrano esserci solo donne a gestire tutto il posto, una ragazza giovane mi fa vedere la stanza e ci accordiamo per il prezzo . Scaricati i bagagli mi concedo una birra gelata da bere sulle scale d’ingresso insieme ai turisti.
Sono quasi tutti tedeschi e sono li per il rally London- Tashkent con macchine tipo golf e Audi 80.
Con loro ci sono anche padre e figlio inglesi di origini turche.
La conversazione riprende dopo essere andato al market a fare spesa di scatolame e acqua da 5 litri e riempita la tanica di benzina.
Attacco bottone con uno in particolare di cui non ricordo il nome, motociclista anche lui, prossimo alla cinquantina.
Ogni tanto qualche battuta anche con uno con la faccia da tedesco,
leggermente calvo e con l’aria da ragioniere il cui nome tradotto in italiano è Goffredo,
che ha vissuto qualche anno in italia, come la donna che viaggia con loro.
Sono le prime parole in italiano dopo giorni di inglese e russo.
L’inglese più grande, che Goffredo chiama il turco ablante,
è quello che fa più caciara quando parla e a tratti è quasi sborone nelle sue affermazioni e quasi fastidioso nel voler essere sempre divertente.
Quelli con cui non scambio molte parole sono i due più giovani con l’aria da figli di papà e le loro polo col colletto alzato.
Hanno l’aria di quelli più convinti di stare facendo la grande avventura e di essere più fighi degli altri.
Percepisco le piccole tensioni all’interno dei vari equipaggi e le antipatie nate in giorni di vicinanza forzata.
In questo momento mi trovo a gioire della mia condizione solitaria,
delle decisioni in autonomia e libertà e soprattutto del vantaggio principale che questa condizione comporta,
ovvero quello di dovermi necessariamente rapportare alla gente del luogo per trovare compagnia.
Capisco infatti dai loro racconti che non sono stati molto a contatto con i locali e non me ne stupisco visto che stanno sempre in gruppo tra di loro.
Mangio insieme a loro l’ultima scatola di storione in scatola comprata ad Astrakhan,
nella speranza che non si sia avariato dopo ore di sole cocente,
mentre il sole va giu dipingendo il cielo di un arancio drammatico e tranquillizzante.
Vado a nanna dopo aver affidato la tanica al portiere di notte e fatto mettere le borracce in congelatore.
Inutile dire che il sonno tarda a venire per l’eccitazione.
So però di aver fatto la cosa giusta: la mia metà mi scrive che ora riconosce l'omo suo.





grooveshark.com/s/Ich+Liebe+Didge/3Gh6xr?src=5
Mi sveglio alle 5.00 ora locale e dopo due macchinette di caffe inizio i preparativi.
La combinazione di 5 lt d’acqua e 5 di benzina è perfetta e tutto è al suo posto.
Copro il tutto, come faccio sempre, con due asciugamani inzuppate d’acqua.
I tedeschi partono prima anche se eravamo rimasti d’accordo di andare insieme.
Non è un problema: ho il vago sospetto che questa frontiera sarà molto lunga.
Il navigatore imbrocca subito la strada (e grazie, c’è solo quella) che attraversa la cittadina nelle sue aree periferiche.
A terra ci sono lunghi tratti in cemento armato ormai sbriciolato con i ferri d’armatura che fuoriescono minacciando le gomme dei veicoli.
Sto molto attento a non finirci sopra e con la moto carica non è facile.
Finalmente inizia la strada che mi era stata descritta come infernale.
Finito l’asfalto groviera inizia un lungo sterrato che si alterna a tratti molto lunghi di ghiaia di varie pezzature, a volte su fondo più duro.
La cosa che cerco di fare è mantenere l’andature più costante possibile, evitando di usare i freni.



Cazzo, lo sto facendo davvero: sto andando in Uzbekistan!
Sono vivo, sono in salute,sono equipaggiato, !
Sono un cazzone che sfida se stesso su una strada sterrata cercando di prendersi una rivincita su una terra difficile.
A ben vedere una cosa abbastanza stupida, ma in quel momento la cosa più entusiasmante della mia vita. E forse non solo in quel momento.
Incontro un ciclista francese diretto anche lui in Uzbekistan. La sua faccia è leggermente sofferente ma tutto sommato l’ espressione è di chi sta facendo un giro nel parco sotto casa. Questo è il vero eroe della giornata. Nei punti di pietrisco più morbido la moto tende ad andarsene altrove ma riesco sempre a tenerla. Il punto più brutto è a metà strada dove ci sono due tratti abbastanza lunghi di sabbia soffice. Appena mi avvicino al primo, una Lada simil 124 mi supera e mi si mette davanti facendomi rallentare di colpo e per un attimo temo di cadere, dato che il tipo davanti non fa altro che frenare. Arrivati al secondo tratto lo faccio andare parecchio avanti in modo da non averlo tra le palle e così facendo ho modo di attraversare la sabbia a manetta, dritto come una freccia. Ogni tanto qualche villaggio di poche case, qualche corso d’acqua e gli immancabili cimiteri.



La polvere dei camion è effettivamente fastidiosa e alcune volte devo fermarmi per farla svanire, dato che non riesco a vedere nulla.
Alla fine in un’oretta sono alla frontiera, dove ritrovo i tedeschi in coda con tanta umanità locale.
Quando scendo dalla moto noto con un certo piacere che Sofia è di nuovo impolverata.
Daje Sofì che siamo ancora in ballo!
Mi dicono che i cancelli sono chiusi dalla sera prima.
Capisco il perché di tutta questa gente dalla faccia assonnata e con i vestiti buoni spiegazzati e logori.
Tutt’intorno non c’è nulla, nel modo più assoluto.
Solo deserto e qualche sterpaglia, e il piazzale d’ingresso è delimitato da qualche chaykhana e officina sparse qua e là.





Mentre parlo coi tedeschi si avvicina un kazako con la faccia bruciata dal sole e dalla sabbia eccitatissimo per il mio viaggio.
Mi stringe la mano, mi abbraccia e mi invita a prendere un the.
Invito che declino ringraziando di cuore.
Quando aprono il cancello una marea di gente sbuca fuori dal nulla come fossero gli zombi di un film di Romero:
stavano tutti all’ombra dietro i camion o le casupole e ora riempiono il piazzale dando vita e una folla disordinata ma composta.
L’aria che tira qui non è delle migliori: i modi delle guardie di frontiera sono particolarmente arroganti e a tratti cattivi.
Noi europei veniamo subito fermati e indirizzati agli sportelli per le procedure dopo verifica della completa documentazione.
Ci mettiamo in fila con kazaki e uzbeki e aspettiamo il nostro turno in una sala troppo piccola per contenere il numero dei presenti che dovrebbero passare per le due porte poste alle estremità di una parete in panneli d’alluminio.
Naturalmente le procedure di controllo dei documenti sono lente e man mano che arriva più gente le file si sfaldano,
facendo entrare in azione i militari più giovani che con modi bruschi e la mano sul calcio della pistola spostano fisicamente le persone per rimetterle in riga. Siamo davvero meravigliati di vedere questo trattamento e io personalmente non posso smettere di pensare alla stupidità e cattiveria dell’essere umano. Basta una divisa e un superiore per essere stronzi, dimenticando che in qualsiasi momento si può essere dall’altra parte.
Forse per non fare brutta figura con gli europei, a un certo punto i militari ci chiamano e ci fanno saltare la fila.
Non nego di sentirmi stronzo a fare questo ma mi sembra ovvio approfittare della possibilità.
Consegnata la dichiarazione di proprietà del veicolo fatta in Russia, si può uscire.
In tutto saremo stati un oretta e mezzo. Ma chiaramente non è finita.

Anche il cancello uzbeko è chiuso e ci dicono che aprono quando gli va.
Scopriamo che c’è gente che ha fatto fino a 16 ore di attesa ed è particolarmente nervosa, oltre che stremata.
Noi riusciamo a sistemarci proprio davanti al cancello d’ingresso.
Sulla sinistra una fila di camion e TIR, sulla destra la fossa per la disinfezione delle ruote piena di acqua lurida con le auto di alcuni locali in fila e ,
oltre il cordolo della “strada” un serbatoio d’acqua da cui si attinge per rinfrescarsi e qualcuno beve anche.
Dall’altra parte della rete ci stanno i soliti ragazzotti poco più che adolescenti equipaggiati con mitra più pesanti di loro stessi.
Siccome capiamo che andrà per le lunghe ne approfittiamo per chiacchierare e mangiare, chi un panino chi una mela.
Faccio notare alla crucca che il suo abbigliamento non è molto adeguato alle località che sta attraversando.
Mi chiede se mi riferisco al velo.
No, mi riferisco al vestitino che lascia le spalle scoperte e arriva fino a sopra le ginocchia.
Le dico che magari agli uomini piace pure, ma alle donne non farà molta simpatia.
Lei fa spallucce e dice che finora non ha avuto problemi.








Mi accorgo che lo scatolame comprato il giorno prima non ha l’apertura ad anello e Goffredo mi presta il suo coltellino svizzero.
Vorrebbe farmi vedere come si usa ma sembra che non abbia mai usato un attrezzo del genere.
Anche se l’immagine della lattina non corrisponde al prodotto,
che si rivela un impasto di riso precotto,premasticato e predigerito con due pezzettini di carne,
divido lo stesso con un paio di loro e devo dire sembrano apprezzare.
Bagno di nuovo le asciugamani, il mio frigo da viaggio, mentre il tipo entusiasta di prima passa e spassa tre o quattro volte,
ogni volta stringendomi la mano e facendomi complimenti.
Sembra tutto tranquillo fino a poco prima dell’apertura del cancello.
Una signora con tutti i denti d’oro dice con fare minaccioso ai due Figli di Papà che devono mettersi in fila per la fossa igienizzante anche loro.
Provo a tradurre ma loro hanno gia capito facendo finta del contrario.
La prima macchina in fila è quella del turco ablante.
Quando finalmente aprono la signora comincia a sbraitare alla macchina del turco/inglese che si barrica dentro.
La donna urla come una strega invasata ai finestrini delle macchine europee mostrando il pugno chiuso.
Io all’inizio osservo dalla moto sperando nel buonsenso di questi sedicenti rallysti ma quando vedo l’inasprimento della situazione scendo e
inizio a dire a tutti di tornare indietro e fare come dicono loro.
correndo avanti e indietro la strega aizza la folla fino a quando un gruppo di omaccioni non comincia a fare segno alle macchine di tornare indietro,
arrivando al punto di cercare di sollevare la macchina del turco per spingerla indietro, con ottimi risultati devo dire.
A questo punto il Figlio di Papà con la polo scende dall’auto a fare il maschione in cappellino da baseball e bermuda,
facendo il gesto di calmarsi con entrambe le braccia e si ritrova faccia a faccia con la strega, l’uno a sbraitare sull’altra.
Lui dice che non è questo il modo di comportarsi con noi, che dovrebbero ringraziarci perché “we come in your country to bring you money!”.
Sei un genio ragazzo, sei proprio un genio!
Ovviamente la signora capisce solo”money” recependo la frase come se fosse “ siete una manica di straccioni”,
si volta indietro e ricomincia ad aizzare.
Io riscendo dalla moto e fronteggio il cazzone urlandogli di tornare in macchina e fare come dicono:
siamo nel loro paese e dobbiamo stare alle loro regole così come pretendiamo che loro facciano quando vengono in europa.
Gli urlo come gli venga in mente di fronteggiare una folla inferocita in terra straniera, molto straniera, con quest’arroganza.
Mentre Mr. Bermuda mi guarda in cagnesco il cancello, che prima era stato richiuso per i disordini, si riapre e ne vengono fuori due giovanotti armati che placano la folla e ci fanno entrare senza passare dalla buca.
Ci mettiamo in coda anche lì insieme, ma ormai dopo la mia performance non faccio più parte del loro gruppo, e la cosa non mi dispiace affatto.
Provo a spiegare al turco che sicuramente io sono più attaccabile essendo in moto,
ma non sarà certo il finestrino dell’auto la barriera che impedirà il suo linciaggio.
Bermuda non mi caca più ed è meglio così.
Con Goffredo e col Motociclista riflettiamo insieme su come qui la polizia tenda ad incattivire le persone.
Alla fine questi sono uzbeki e hanno fatto 4 ore di attesa e controlli davanti alla loro frontiera del loro paese.
Anche qui ci agevolano facendoci passare avanti con lo sbattimento da un ufficio all’altro, dichiarazioni , moduli e alla fine passiamo dall’altra parte.
Sono partito alle 8.00, entro in Uzbekistan alle 2.00.

Suggerisco di fermarci alla prima chaykhana a cambiare soldi e a rinfrescarci con un te.
C’è un bazar subito dopo il cancello con i soliti cambiavalute e assicuratori,
ma i Crucchi e gli inglesi fanno schizzare via veloci le loro auto ricominciando a giocare ai piloti.
Bene, se ne andassero affanculo loro e l’arroganza da colonizzatore occidentale.
Io continuo piano sulla mia strada e mi accorgo subito che non ci sarà nulla per tanti km.
Sono tentato di tornare indietro quando sulla sinistra vedo una casupola bassa e povera con su scritto chaikhana.
Giro e parcheggio.
Intorno non c’è nulla, se non qualche altra casupola in lontananza nel deserto e la strada.
Il sole è accecante e il paesaggio rende la luce di un giallo intenso.
Busso e quando sporgo la testa per chiedere permesso,
intravedo nella penombra una grande sala piena di tappeti su cui conversano e riposano una decina tra uomini e donne che
mi guardano sorpresi e un po allarmati.
Uno mi fa cenno di entrare.
Mi tolgo gli anfibi roventi.
Ed entro.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 14/01/2013 21:28 #7277865

  • fabio78
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ottima ripresa direi :ciao:
... UN VIAGGIO DI MILLE MIGLIA DEVE COMINCIARE CON UN SOLO PASSO .

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 14/01/2013 23:28 #7277912

:D
sì... fossi tornato indietro non me lo sarei mai perdonato :shock:
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