I 3 gg passati nel centro furono cmq bellissimi,passati in mezzo a bimbi meno fortunati di noi..ma cmq felici almeno di avere 3 pasti al giorno...una maglia da calciatore ed un pallone rattoppato.
:
E chi puà dirlo cosa sia davvero nascere più fortunati. Se basta un pallone e tre pasti al giorno per essere felici, allora forse alle nostre latitudini
tutta sta botta di culo non ce l'abbiamo. ma qui apriremmo un dibattito infinito ma dovremmo stopparlo per andare rassegnati a lavurà
E' vero: i momenti difficili, quelli in cui smadonni e pensi che a sto giro ci lasci le penne che danno senso a tutto.
e paradossalmente quei ricordi si trasformano in qualcosa che ricordi con rimpianto quando torni nell'ovatta della "civiltà".
Ma mi sa che queste sono cose utili per il topic di fernik sul perchè si è viaggiatori ...
3 anni fa di qst tempi ero nel Sahara con un Camion dell'Iveco per un progetto di sviluppo e omologazione mezzi..allo sbarco a Tunisi mi sentivo un Re su quel bestione da 250 cavalli..4 ruote motrici,elettronica in ogni dove..computer di bordo ecc. Quando,dagli specchi, guardavo la carovana di supporto che mi seguiva mi sentivo volare..poi nel bel mezzo del deserto Algerino tra Timimunn e Tamarrasset il camion (x un errore mio)si insabbiò quasi fino alla pancia.La dipserazione + totale.Non riuscivamo + a tirarlo fuori.La jeep di supporto nel cercar di tirarlo si era insabbiata,le 2 Panda 4x4 nemmeno a provarci.Le imprecazioni volavano ad altezza uomo..i Touareg che ci dicevano " calma..ci vuole calma." Le lacrime x il senso di colpa..la stanchezza.Le mille domande del "ma cosa ci faccio qui,in qst posto dimenticato da Dio..perchè non sono a far il Natale come tutte le persone normali!PERCHè!"
Il giorno successivo all'alba tra piastre,sabbia + compatta e la mano di Hallà,il camion si è liberato.Quella notte quasi non ho dormito..il giorno dopo qnd il mezzo era nuovamente in pista un pianto liberatorio...mi ero giurato che mai + avrei fatto una cosa del genere....poi xò qnd rientri a casa devi far il conto con i fotogrammi che hai impresso nella mente.L'immensità del deserto,i suoi colori,il suo rumoroso silenzio...non ti eri accorto qnt qst cosa ti avesse colpito dentro.Di qnt questa ferita fosse profonda denro de te. ..ADESSO PARTIREI ANCHE A PIEDI PER DI RIVEDERE L'ORO DELLE DUNE.
Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
12/12/2012 09:52 #7270015
..ti dico la mia situazione attuale..poi tira tu le conclusioni:
Mercoledì mattina ore 11 rogito dal notaro per acquisto nuova casa.Mutuo x 25 anni..venerdì mi arrivano i mobili..basta qst?
Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
12/12/2012 11:15 #7270033
..ti dico la mia situazione attuale..poi tira tu le conclusioni:
Mercoledì mattina ore 11 rogito dal notaro per acquisto nuova casa.Mutuo x 25 anni..venerdì mi arrivano i mobili..basta qst?
Banco e stò
Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
18/12/2012 14:14 #7271363
sto giusto finendo di tagliuzzare un paio di video (sempre alla grezzona, eh!) e poi inizio col kazakhstan.
Non nego che quest'impazienza mi dia una certa soddisfazione
Capitolo 5
Kazakhstan atto I- il Minchia del deserto
La notte non passa tranquilla. Fa caldo ed è umido e, anche se interamente cosparso di autan, le zanzare non mi danno tregua.
Sento la presenza dell’ospite ignoto che dorme nell’altra stanza ma non mi da nessun fastidio.
Riesco finalmente a chiudere gli occhi quando, verso le 2 o le 3, sento aprire la porta della stanza e una voce sommessa e un po’ ebete dire :
”Hallo, Antonio!”:
E’ Rizo! Arrivato dalle sue parti l’hanno fatto tornare indietro per documenti non in regola.
Deve tornare in Kazakhstan , sbrigare non so quale formalità, e poi ripresentarsi.
Ripartirà di nuovo prestissimo, come l’altra volta senza darmi il minimo disturbo.
Al risveglio, neanche tanto presto, la tensione si mescola all’entusiasmo.
Cambio un po di dollari al vicino centro commerciale, mi faccio due o tre macchinette del caffè, riempio le valigie ridistribuendo i pesi ancora una volta.
Caricata la moto passo dall’ albergo per connettermi via wifi e mettere un post su facebook sugli ultimi giorni per
tranquillizzare parenti e amici e, sono sincero, ricevere un po d’incoraggiamento da tutti.
Dopo un the, saluto e vado via.
Come sempre uscendo dalle grosse città il problema è trovare la direzione per la tappa successiva.
Oggi dovrebbe essere semplice, ma non lo è.
Non trovo nessun cartello indicante atyrau se non dopo qualche km di periferia.
Per giunta, la sera del mio arrivo qui, Copilot è saltato e non si apre più: poco male perché aveva comunque le mappe fino alla Russia, ma dover cambiare navigatore forzatamente non è gradevole.
Da oggi inizio ad usare OsmAnd+ , basato su mappe opensource, abbastanza preciso ma molto lento nel calcolo dei percorsi oltre i 200km. Finalmente in una pompa di benzina mi indicano la strada giusta e mi incammino verso il confine kazako.
La strada attraversa la riserva fluviale del Delta del Volga.
Il vento è forte e mi spinge lateralmente di continuo, ma nulla di cui non abbia già avuto esperienza in questi giorni.
E’ singolare la commistione di paesaggi diversi nello stesso colpo d’occhio: dune sabbiose in mezzo al verde e ai corsi d’acqua e progressiva prevalenza di elementi desertici man mano che ci si avvicina al confine.
Del resto se si da un’occhiata alle viste satellitari si vede chiaramente come
il verde del territorio russo viri progressivamente al giallo in prossimità di quello kazako.
Arrivo finalmente al ponte galleggiante in metallo A Krasniy Yar.
Pago il pedaggio e gasatissimo lo attraverso sferzato dalle raffiche di vento che,
insieme alla corrente fluviale, fanno ondeggiare armonicamente la strada .
Subito dopo mi fermo a mangiare una scatoletta riparato dal vento e dalla sabbia
sotto una pensilina del bus sotto lo sguardo incuriosito di un autista.
La giornata sarà lunga e un sacco di tempo lo perderò alla frontiera, meglio ristorarsi ora.
Sono ancora in territorio russo ma già si respira la sabbia del deserto verso cui sto andando incontro e
i tratti somatici delle persone intorno sono ormai decisamente orientali.
All’ultimo pit stop per acquisto scatolame quasi mi dispiace andarmene da questo paese:
sono riuscito ad entrare in sintonia con i loro modi e ho capito come comunicare rapidamente.
Che poi le domande sono sempre le stesse: da dove vieni, dove vai, quanto costa la moto, quanto fa all’ora, dove dormi etc.
Uscire dalla sbarra russa non prende molto tempo, o forse mi sono abituato ai tempi biblici delle dogane.
Di certo rimane a me la dichiarazione di proprietà del veicolo.
Esco dal cancello che dà (guarda un po) su un lunghissimo rettilineo, quando da una delle macchina in fila sento la voce un pò ebete della scorsa notte che dice “Hallo Antonio!”
Minchia! Rizo di nuovo! Sta in macchina con due amici o cugini e insieme rientrano in Russia:
o ha risolto coi documenti, o si è portato l’amico influente. Fatto sta che a sto giro entra,
e prima di salutarci per l’ultima volta facciamo una foto insieme come era giusto fare.
La terra di nessuno in questo posto di frontiera è molto estesa e la particolarità è che il preziosissimo talloncino che mi consegnano alla dogana, attestante la verifica della mia piena regolarità,
lo devo consegnare qualche chilometro più avanti all’ultima garitta che sta in mezzo a un ponte sul fiume che fa da confine ai due stati.
Mi fermo in equilibrio precario e contromano su questo cavalcavia dove le raffiche di vento arrivano come sventagliate di mitra,
cercando di tagliare corto alle domande del funzionario baffuto e panzuto che, dopo il terzo grado sulla moto e sul costo del mio abbigliamento,
mi dice che anche lui è motociclista.
Arrivo finalmente alla frontiera kazaka che dà subito l’impressione di essere più tosta delle precedenti .
E infatti passo in questo posto dimenticato da Dio almeno un’ altra ora e mezzo o due, tra controllo dei documenti e ping pong tra un ufficio e l’altro. Non per particolare cattiveria dei funzionari, quanto per la procedura che è lunga, molto lunga.
Il funzionario mi chiama per nome “ Antonio?, Antonio Banderas!”.
“Fottiti” penso, mentre sorrido fintamente rispondendo che” Banderas ricco, io no ricco!”.
Uscito dal cancello trovo i soliti personaggi di frontiera che agitano soldi e vendono assicurazioni.
Mi fermo per cambiare i rubli che mi sono rimasti e non so come mi viene di fare anche l’assicurazione temporanea
(che in Russia non avevo fatto, anche se obbligatoria).
Inizia una lunga trattativa con due tipi dentro un lercissimo botteghino di lamiera.
Dentro c’è un piccolo desk, ad altezza banco reception, consumato e spellato.
Dietro di questo la scrivania in metallo dell’Assicuratore e dietro di questa, neanche tanto nascosta da un piccolo separèe in laminato sporco e scorticato, una branda a castello da cui sporge un ragazzotto dalla faccia rincoglionita e brufolosa che ogni tanto lancia qualche voce e ride con voce da adolescente.
Io contratto in simultanea sia per i soldi, con il tipo in piedi a fianco a me, sia per l’assicurazione col tipo dietro il desk.
L’Assicuratore sfotte il Cambiavalute indicandomelo e scuotendosi il lobo con l’indice della mano destra: quello che da noi indica “ricchione” da loro vuol dire “imbroglione”.
Alla fine esco da lì con un’assicurazione per 15 giorni e qualche tengè, convinto di aver fatto un affare ma con la profonda certezza di essere stato fregato.
La rottura di cazzo finale me la da la guardia che esce dall’ultima garitta a 100 metri dal botteghino dell’assicuratore.
E’ poco più di un ragazzino con un timido accenno di baffi sul viso e credo che mi stia per chiedere dei documenti quando mi dichiara l’intenzione di fasi un giro. Gli dico di no ma come una gazzella sale dietro e non posso fare altro che accontentarlo.
Faccio un centinaio di metri e torno indietro.
Vorrebbe arrivare fino al cancello per far vedere a tutti che è salito sulla moto dell’italiano,
ma smorzo la sua gioia infantile facendolo scendere urlandogli cose tipo :
“Mò scinda ca mi cacast’u cazzu, và hatica vahanculu tu e ssu stupidu, ca ccà siti tutti hor’e testa!”
Siccome anche il calabrese è una lingua turcofona mi capisce perfettamente e rapidamente esegue, anche se a malincuore.
Per i primi km il paesaggio si mantiene timidamente verdeggiante: ci sono corsi d’acqua ed estese macchie di vegetazione.
Niente di più alto di cespugli o arbusti.
I centri abitati sono per lo più piccoli agglomerati di case simili a baracche, col tetto in lamiera e intonacate all’esterno.
Ogni tanto si intravede qualche piccolo pozzo di petrolio o gruppo di cisterne.
Stranamente dal punto di vista urbanistico paiono più strutturati i cimiteri che non i centri abitati:
Questi ultimi stanno buttati in maniera quasi casuale a pochi metri dalle strade senza un ordine preciso,
al contrario dei primi che hanno una vera griglia urbana, sono recintati e le tombe e cappelle ben rifinite,
con le loro mezzelune svettanti sulle false-cupole che compongono le coperture e che le rendono simili a dei trulli pugliesi.
Gli animali stanno in giro liberi a pascolare: sulla statale incontro branchi di cavalli, mandrie di mucche e finalmente quei quadrupedi che, da quando ero bambino, lego nel mio immaginario al viaggio d’avventura: finalmente i cammelli!
Non posso fare a meno di fermarmi e guardarmi negli occhi con quello più vicino alla strada, che mi fissa con aria interrogativa e un po strafottente, ignaro del perché un umano stia lì a fissare lui con aria da coglione gongolante.
Mai potrà capire cosa sto provando, e di certo non vado a spiegarglielo.
La cosa che nei video delle paris-dakar e dei film d ‘avventura non si sente, ne tantomeno ti dicono, è l’odore nauseabondo di queste bestie. Probabilmente è dovuto all’ urina stracondensata che producono dovendo il più possibile trattenere i liquidi.
Nel giro di un centinaio di km il paesaggio cambia decisamente verso il desertico o giu di lì.
L’unica cosa che rimane costantemente malefica è la fattura dell’asfalto:
decisamente il più brutto che abbia mai visto in vita mia su una statale.
Non ci sono soltanto buche e sabbia: la cosa apparentemente più pericolosa sono i solchi lasciati dai camion, qui più profondi che altrove.
E l’asfalto sbriciolato dagli sbalzi termici non aiuta di certo.
Però la strada è dritta invita a correre, e una volta trovato il tuo solco vai che è una bellezza.
Di tanto in tanto qualche saltino, che con la moto carica non è proprio il massimo della sicurezza.
Dopo una ventina di giorni senza piscina e avvolto dall’ afosa umidità delle regioni attraversate non sono più tanto in forma,
ma ancora riesco a spingere sulle pedane e a tirare il manubrio.
Fa molto caldo, ma finalmente è caldo secco.
La temperatura percepita è più sostenibile, ma in moto sembra di stare di fronte a un asciugacappelli gigante,
e il fatto di avere solo una canottiera sotto il giubotto traforato aumenta questa percezione.
Non ho dubbi fin da ora: questa è una terra tosta, e ora sono davvero nel viaggio che avevo immaginato.
Il mio instant road book prevede che in serata arrivi ad Atyrau, la prima città grande sulla strada,
per poi andare verso Aktobe, a nord, e scendere poi verso Aral.
Ma a viaggiare verso est si perde sempre tempo perché si corre in direzione opposta al sole e, aggiungendoci l’ora in più di fuso orario, la giornata sta per finire.
Quando viaggi in moto sei come lo gnomone di una meridiana grande quanto il mondo:
per tutta la giornata insegui la tua ombra e quando la vedi stagliarsi lunga davanti a te, allora vuol dire che è tardi e devi fermarti.
Riesco a raggiungere la cittadina di Aqqystau e inizio a cercare da dormire che è gia crepuscolo.
Provo a chiedere per strada ma nessuno mi vuole dare indicazioni, sono molto diffidenti.
Sto per entrare in un posto quando un Suv si ferma e l’uomo alla guida mi chiede se ho bisogno di un hotel.
Con lui ci sono una donna giovane e un bambino, seduto dietro.
Lo seguo e mi porta in una locanda a due piani.
All’interno trovo due ragazze sui 16 anni e due uomini della mia età , di cui uno visibilmente ubriaco.
Comincia a contrattare e a ripetermi che lui è il padrone del posto.
Ok per il prezzo, ma la moto dove la metto?
Mi dice perentoriamente di seguirlo e mi apre un cancello di ferro rosso sbiadito chiuso con un grosso travetto in legno.
Non ha pazienza per le mie difficili operazioni di manovra a moto carica.
Continua a dirmi di stare tranquillo per la moto in maniera molto fisica, avvicinandosi molto al mio viso, dandomi pacche sulle spalle e abbracciandomi.
La conversazione è difficile perché il suo russo ha una forte inflessione kazaka: e il kazako sembra un misto tra turco e cinese, parlato molto velocemente, quasi incazzoso.
Per farvi capire: in russo “mille” si pronuncia “tìzici”, loro dicono “tìsci”.
Metteteci che è pure mbriaco , devo farmi ripetere più volte le cose.
Quando finalmente va via provo a comunicare con le ragazze ma colpo di scena: le ragazze non parlano russo!
E sì! Succederà spesso qui, che i giovani non parlino russo.
Ci si arrangia a gesti come una volta.
La camera sta di sopra, e la ragazza mi fa togliere gli stivali sul pianerottolo.
Lo faccio stando attento a non far cadere il rotolo dei soldi che proprio lì tengo nascosto.
L’unico ospite sono io e il bagno in comune è solo per me. Ovunque mosche, di quelle fastidiose.
Dopo una doccia scendo a mangiare e riesco a ordinare un piatto di ravioli e una birra, ma devo stare accorto perché non ho cambiato molti soldi. Vogliono che le paghi prima di avere il mio piatto, e sconcertato lo faccio. Ma non eravamo sulla via della seta qui? Mah!
Mangio studiando guida e mappa.
Voglio capire se c’è un’altra strada più corta per arrivare al lago d’Aral senza per forza salire a nord: la mappa indica delle strade sterrate e qualche nome di località ma devo essere sicuro.
Provo a chiedere a delle ragazze che nel frattempo sono arrivate a bere e una di loro parla russo, ma mi dice che non sa.
Il gruppetto di nuove arrivate scherza su di me insieme alle due di casa, ma non ho nessuna voglia di cazzeggiare:
questa non è l’ucraina, sono musulmani, e non si è mai visto un posto dove mi fanno pagare prima di mangiare.
Nel frattempo arrivano due uomini che si siedono al tavolo vicino al mio e , non resistendo alla curiosità, attaccano bottone.
E cominciamo a chiacchierare e a brindare con vodka.
Chiedo a loro se è possibile fare quel percorso: uno mi dice di sì, l’altro dice di no.
Quando vado fuori a fumare mi raggiungono e si continua a scherzare ma il loro alcoolismo comincia ad avere la meglio,
facendoli diventare fastidiosi. Iniziano le domande scorrette, le pacche, il contatto fisico.
Basta! Sono stanco e ho bisogno di dormire, se il caldo mi da tregua.
Saluto e vado a nanna mentre continua ad arrivare gioventù locale in cerca di vodka e fregna morigerata.
E mentre la tamarrissima musica dance pompa sempre più forte,
il mio piatto sporco sta ancora sul tavolo ormai conquistato da un’armata di mosche inferocite.
Di sotto, i bassi dell’impianto fanno tremare le finestre. Io crollo come un bambino.
Mi sveglio non molto presto e ho subito motivo d’incazzarmi: non è possibile avere caffè.
Thè quanto ne vuoi, ma caffè scordatelo. grooveshark.com/s/Hotel+Zyannides/31jVi6?src=5
Il caldo è bello tosto e solo ad aprire il cancello e tirare fuori la moto sono già stanco e fradicio di sudore.
La tipa del turno di mattina, che parla russo, mi spiega dove trovare la banca per cambiare denaro.
Trovo il centro del paese, che chiaramente è una lottizzazione a maglia ortogonale di epoca sovietica con tanto di blocchi numerati.
Gli unici edifici di rilievo in quanto a dimensioni sono quelli di posta e banche.
Mi dicono di cambiare i soldi alla posta. Provo a chiedere allo sportello postale ma lì non è possibile cambiare, non so per quale ragione.
Chiamano qualcuno e una signorina mi accompagna alla banca che sta all’isolato vicino.
Lascio la moto aperta, temendo un po ma sapendo nello stesso tempo che a nessuno verrebbe in mente di portarsela via.
In coda allo sportello di banca noto la giovane donna che stava nel suv della sera prima, quello che mi ha portato all’hotel.
Mi guarda ma fa finta di non riconoscermi come se quel buco di paesino fosse pieno di motociciclisti europei.
Chi invece non nasconde la curiosità è il ragazzino che stava con lei in macchina e che ora è in coda anche lui.
Faccio un piccolo sorriso a lui, ma non mi filo di striscio lei, ne nessun altro:
sto incazzatissimo e il mio mal di testa da astinenza da caffeina non è stato minimamente placato dalle 3 o 4 tazze di the prese un’ora prima. Cambio sti cazzo di soldi finalmente ed esco casualmente insieme ai due.
Il ragazzino mi chiede se l’albergo era buono. Io stronzamente gli rispondo che no, non era buono.
Il poverino ci rimane male, e ancora quando ci penso mi si stringe il cuore per la mia cattiveria:
crescerà con l’antipatia per i viaggiatori stranieri. E in quel paese di tutto c’ è bisogno meno che quello.
Mi fermo ad una pompa di benzina abbandonata poco fuori il paese a mangiare scatolame e farmi due macchinette di caffè,
riuscendo a conversare quasi piacevolmente con il conducente di una macchina che si ferma per la curiosità.
Sarà una giornata fatta di tante soste per il caldo che letteralmente mi prosciuga.
La prima in una chaikhana sulla strada, affollata di camionisti, dove prendo un the bollente insieme a una tavolata di loro.
Uno vuole farsi le foto con me e lo accontento.
Raggiungo Atyrau che è da poco passata l’ora di pranzo e un po mi dispiace di non aver fatto tappa qui la sera prima.
Mi fermo per capire cosa fare guardando mappa e navigatore, di fronte a un centro commerciale.
Due ragazzi si fermano a chiedere se ho bisogno di aiuto.
Secondo quanto dicono, la strada che vorrei fare è ok e ci stanno sia benzinai che centri abitati,
ma il fatto che dicano essere la strada asfaltata non mi convince affatto:
da che mondo è mondo sulle mappe i tratteggi neri e grigi indicano sterrati e piste, e la legenda della mia mappa conferma questa simbologia.
Mi indicano un bazar dove comprare una tanica per la benzina, ma non riuscirò a trovarlo.
Devo decidere entro la prossima città che è Dossor: lì la strada si divide e puoi andare a nord verso Aktobe o a sud verso Beyneu, l’ultima città prima dell’Uzbekistan.
A Dossor faccio benzina e decido che andrò verso sud: il tempo stringe e se dopo 14 giorni sono ancora qui corro il rischio di non riuscire a tornare nel tempo previsto.
Male che vada farò la stessa strada al ritorno.
Mi maledico per essermi messo in testa questa destinazione così lontana.
E maledico anche il mio orgoglio che mai mi farebbe tornare indietro.
Poco prima di entrare a Dossor vedo sulla sinistra un tumulo di pietre con sopra una scultura raffigurante un’aquila.
Mi fermo a scambiare quattro chiacchiere con gli uomini che armeggiano lì intorno e
scopro che Dossor è il centro urbano che si scorge in lontananza.
Di buono c’è che da Dossor la strada diventa un tavolo da biliardo e per niente stancante.
Mi fermo per l’ennesima sosta poco dopo questa città per comprare acqua e bere un the bollente,
che da due giorni è l’unica cosa che mi dia un attimo di refrigerio.
Mi accorgo che in poche ore ho prosciugato i miei tre litri d’acqua e continuo ad avere sete.
E mi accorgo anche che la doppia presa usb pagata 15 euro si è rotta per le buche e le vibrazioni:
Fanculo voi e i vostri negozi di accessori “adventure” .
Nella chaikhana ci sono due donne anziane e due giovani, molto carine, e una di loro mi porta il the al tavolo fuori.
Sono fiaccato dopo soli 200 km e questo mi preoccupa molto.
In questo momento si manifesta palese il retropensiero che scava profonde buche in un angolino del mio cervello da giorni:
la libertà non esiste ed è solo una presa per il culo momentanea.
Tutto questa sensazione di catene spezzate, gabbie aperte e bestie in libertà ha una scadenza precisa nel tempo e anche a prenderla larga,
mi dico duramente, tra qualche settimana sarai di nuovo seduto al tuo PC a disegnare e a dare conto a persone che non ti sei scelto nella vita ma ti danno da lavorare e da campare.
E sarai anche felice di ritornare ad una vita che, neanche tanto in fondo, sai che non ti piace perché vorrà dire che sei tornato vivo e sano.
E’ un brutto momento e non dura neanche poco.
Ma appena in sella mi torna in mente che fin quando sono qui tutto può succedere,
e tutto quello che sto vivendo ora vale il peso dei tormenti della vita di ogni giorno.
Potrei andare direttamente a Beyneu dato che, arrivato a Qulsary, ho ancora un paio d’ore di sole fino al buio, ed entrare l’indomani in Uzbekistan. Ma gli eventi decidono per me: mi fermo a calcolare col navigatore quanta strada mi rimane da fare, quando due uomini mi si avvicinano a fare le solite domande. Io ripeto la domanda con cui stresso tutti da giorni a questa parte.
Stavolta, a differenza degli altri, questi conoscono il territorio e sono sicuri di cosa dicono.
In particolare quello tra i due che pratica la caccia.
Mi invitano a prendere una birra nel bar di fronte.
Ci sediamo al fresco e insieme alla birra ci portano un piatto di un formaggio salatissimo che somiglia a una sorta di scamorza filata ed essiccata.
Il Cacciatore è sicuro che la strada che ho in mente si possa fare, a maggior ragione con una moto.
L’altro, che si chiama Ekhemet, mi dice che stasera sono ospite da lui. E daje!
Ora si che comincia ad essere figo! Con uno slancio riesco a pagare il giro di birre,
ma il Cacciatore si alza e cazzia duramente la ragazzina che ci ha servito per aver accettato i soldi da me che sono l’ospite.
Casa di Ekhemet ha camere molto grandi, un soggiorno immenso pieno di tappeti e uno spiazzo sul retro molto grande con
un piccolo palco di legno anch’esso pieno di tappeti e cuscini. I bambini rimangono esterrefatti di fronte a me e soprattutto alla moto.
Il figlio del padrone di casa è contento ma perplesso quando lo faccio salire su Sofia.
Chi letteralmente cambia faccia per la libidine sono gli adulti quando faccio accendere la moto ad Ekhemet:
nei suoi occhi si legge tutto il senso di potenza fallocentrica dell’avere un motore che romba in mezzo alle gambe,
oltre alla vaga idea di stare a perdersi qualcosa nella vita.
Chiacchieriamo delle nostre vite, ma la comunicazione non è sempre fluida. Anzi spesso ci sono intoppi.
E’ così che Ekhemet decide di invitare a cena Samat, un suo amico che parla molto bene l’inglese.
Ci raggiunge mentre siamo a cena.
Samat ha più o meno la mia età e i suoi tratti sono un misto tra lo slavo e il kazako.
Il suo arrivo è provvidenziale e la serata prende un’altra piega.
Mi spiega che per la loro religione quella è una notte speciale perché vengono giù gli angeli e i desideri si realizzano.
E se c’è un ospite vale di più e i loro desideri si realizzano prima e più facilmente.
Gli chiedo se vale anche per me che non sono musulmano. Mi dice che vale anche per me se ci credo.
Andiamo di brindisi vari. Quando tocca a me brindo all’amicizia che non ha bisogno di lungo tempo per essere vera e profonda.
Ma, sarà per l’improprietà della traduzione o perché più semplicemente era un brindisi del cazzo,
non sortisco l’entusiasmo e la commozione che speravo di suscitare.
Niente di grave comunque, solo rimangono un po perplessi.
A fine pasto il capofamiglia recita un brevissimo ringraziamento mentre
tutti ci guardiamo i palmi delle mani e alla fine facciamo il gesto di lavarci il viso, con un solo movimento dall’alto verso il basso.
Poi i bambini a letto, la donna a rassettare, gli uomini in giardino.
Dalla vostra sx: L'Amico, Ekhemet, io, il Cacciatore, Samat.
In giardino il Cacciatore mi spiega la strada e Samat traduce in inglese.
Disegniamo sulla mia mappa la strada e i segni che dovrebbero guidarmi.
Mi dicono che la strada è praticabile e in moto non avrò problemi, essendo più agile di un auto.
Mi rassicurano sul fatto che è terra dura e pietre, e non c’è sabbia fine sulla quale rischio di sbandare o di insabbiarmi.
Di centri abitati non ce n’è:
ci sono fattorie, ricoveri per i cammelli e si trovano cacciatori e gente che utilizza le piste per andare da un posto all’altro senza usare
la statale che fa davvero pena.E per un tratto di un centinaio di km non c’è nessuno proprio.
Secondo loro questa è la strada migliore per andare ad Aral, dato che la statale che passa da Aktobe è veramente infernale e , a detta loro, tutti gli abitanti della zona usano quelle piste per spostarsi.
Mi parlano di rilievi montuosi che dovrebbero apparire sulla destra,
di pozze d’acqua termale che al mattino presto sono ancora piene, di fiumi di pietre e di tracciati trasversali come punti di riferimento.
Il Cacciatore vuole sapere perché voglio andare ad Aral.
Il voler vedere il cimitero delle navi e il lago che si prosciuga è una risposta sufficiente, anche se, a giudicare dalla sua espressione,
un tantino da squilibrato per lui.
Chiaramente devo portare con me una riserva di benzina e acqua.
Samat parla di 20 litri d’acqua, ma gli faccio notare che ho una moto e non un suv.
Considerando i consumi di questo spettacolo di moto che mi ritrovo, con i miei 23 litri di serbatoio e 5 o max 10 litri di tanica dovrei farcela, tenendo conto dei 23/24 km/ litro degli ultimi giorni.
Se considero una velocità media di 40/50 kmh, partendo presto e senza distruggermi, fino al tramonto dovrei fare circa 400 km,
dormire nel nulla e poi il giorno dopo essere al cimitero delle navi.
Di conseguenza le mie due borracie da 1.5 litri, insieme a una damigiana da 5 litri, è una riserva d’acqua sufficiente.
L’idea mi attizza tantissimo. Gia mi vedo come un puntino nero nel deserto in mezzo alla polvere a dormire nel nulla più nulla.
Quello che mi preoccupa è la possibilità di poter essere soccorso in caso di problemi.
E’ regola numero uno che non si vada mai in fuori strada da soli.
Un conto è stare su una strada: anche se sterrata e nel nulla, qualcuno prima o poi passa.
Samat mi dice, quasi seccato, che qualcuno lo incontrerò di sicuro per i motivi di cui sopra, ma sta a me decidere.
E decido che ci vado.
Beviamo l’ultima birra cazzeggiando e parlando della bellezza delle donne italiane.
Mi dicono che il loro amico vorrebbe venire da noi e sposare una donna come la Bellucci.
Mi chiedono se secondo me è fattibile. Senza dubbio, tovarish! Vieni e ne troverai decine pronte a sposarti!
Samat mi lascia il suo numero di telefono e si raccomanda di chiamarlo se succede qualcosa e, in ogni caso, quando arrivo a destinazione.
Ekhemet sequestra tutti i miei dispositivi elettronici e li mette a caricare da qualche parte in casa.
Io ottengo di dormire sul palco in giardino, sotto le stelle.
Solo ora la temperatura è perfetta, con un venticello mite che mi accarezza sotto un cielo pieno di stelle e
nessun materasso varrebbe questo spettacolo.
E’ la notte del 14 Agosto 2012, penso agli amici che in questo momento , in Italia, allestiscono falò sulla spiaggia,
alla mia metà nel bel mezzo della sua giornata in Ecuador.
Io sono in Kazakhstan, Asia Centrale, e sto per addormentarmi sotto le stelle di un cielo che non ha confini.
E domani vado nel deserto.
Buono buono...hai fatto benissimo a non fare la strada da Atyrau ad Aqtobe,io l'ho fatta ed è un 'inferno senza eguali,da Makat a pochi chilometri a Aqtobe non è una strada,non avevo mai visto niente di simile, sono 500km di mostruosità,nemmeno in Tajikistan c'è roba simile
... UN VIAGGIO DI MILLE MIGLIA DEVE COMINCIARE CON UN SOLO PASSO .
Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
07/01/2013 14:36 #7275529
quale delle due è peggio ?
la M32 alla fine solo alcuni tratti sono devatsanti altri assai buoni....
Beyneu...anche lì solo il tratto dal confine Uzbeko a Beyneu per il resto è ok (manca poco mi ci spacco tutto una bica di sabbia improvvisa)
... UN VIAGGIO DI MILLE MIGLIA DEVE COMINCIARE CON UN SOLO PASSO .
Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
07/01/2013 15:34 #7275548
senza dubbio le peggiori sono m32 da Quizylorda fino a poco dopo Aral ed a27 da Oktyabrsk a Dossor.
Da beyneu a confine uzbeko e davvero di cacca, ma siccome corta è pure divertente