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ARGOMENTO: Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 03/02/2013 23:10 #7284774

Capitolo 6



Mi sveglio discretamente presto e con calma faccio due volte il caffè, mi do una lavata e carico la moto.
Prima di andare scambio due chiacchiere con i nuovi ospiti della locanda, appena arrivati in taxi.
Lei è uzbeka e vive in Russia, lui russo e poco loquace. Raccomando a lei di salutarmi la Signora e la Nuora.
La strada continua a correre ancora nel deserto e ho ancora benzina nel serbatoio.
Sono ormai rassegnato ad altri km di paesaggio sabbioso quando, poco prima di Nukus improvvisamente esplode il verde.



Il paesaggio si riempie di corsi d’acqua e campi coltivati e addirittura alberi, che non vedevo da Astrakhan.
Intorno all’asse stradale, due corsie che stanno espandendo a quattro, iniziano a vedersi i segni di una pacifica attività rurale e produttiva:
donne alla fermata del bus, bancarelle di ortaggi a bordo strada, carretti pieni di frutta.

grooveshark.com/s/Yoducha/3IhhgO?src=5



Ho ancora almeno tre litri di benzina ma cerco lo stesso un benzinaio aperto, essendo palese che non ne troverò molti funzionanti sulla strada.
Anche qui, come in Russia e Kazakhstan, ci si serve e poi si paga.
Chiedo di fare 20 litri, ma non bastano a riempire.
Ne faccio abilitare altri 5 capendo che chiaramente la pompa è taroccata.
Quando vado a pagare, molto discretamente dico al tipo dietro le sbarre:
-“ Tovarish, che facciamo? il mio serbatoio porta 23 litri, ne avevo tre e ne ho messi venticinque. Quindi?”
Non finisco di parlare che lui mi risponde “Dai, dai… ti ridò i soldi”.
L’ammissione di colpa espressa con tale candore fa passare in secondo piano il fatto che mi rimborsi tre litri invece di cinque.
Basta poco per essere imbrogliati e felici.
Poco più avanti sulla stessa strada mi fermo da dei ragazzi che vendono meloni sotto una tenda a bordo strada.
Loro mi guardano incuriositi e non sono molto loquaci, credo non parlino russo.
Il più grande inizia a tagliare lui ogni fetta, poi lo fermo e faccio da me col mio coltello.
Quando alla fine del succoso pasto tiro fuori il tabacco e inizio a girarmi una sigaretta il Ragazzo mi guarda incuriosito.
Gliene giro e offro una fatta col poco tabacco che rimane, rifiutando una delle sue senza filtro.
Mentre tira la prima boccata guarda nel vuoto perplesso, poi abbozza un sorriso e fa di sì con la testa.
Fumiamo insieme e mentre sto per andare via mi regala un melone da portare con me, che accetto più che volentieri.
Pollici in alto per la mia moto mentre sistemo il melone sotto l’asciugamano bagnata.



Farò un'altra sosta alla periferia di Nukus a mangiare in una chaikhana invasa dalle mosche e gestita da simpatiche signore.
Mi farò anche mezz’oretta di collasso sui tappeti all’esterno.
Cerco di sistemare meglio la targa aggiungendo nastro isolante, ma non servira a molto visto il caldo che fa.
Un signore di passaggio, con cui ho condiviso il palchetto per lo sbraco, mi porge un pezzo di filo d’acciaio arrugginito preso da terra.
Lo porto con me senza usarlo. La giornata proseguirà tranquilla tra alternanze di deserto e aree verdi.





























La gente pare essere assolutamente tranquilla.
I bambini giocano facendo bagni nei fiumi e persino nei canali d’irrigazione e
le donne sembrano godere di una certa libertà anche nelle zone rurali, a partire dal non obbligo di portare il capo coperto.
Gli uomini sorridono e c’è una gentilezza diffusa che mi fa sentire accolto bene.
Anche qui la gente fa domande, ma mi sento meno animale da circo.



Insomma, non si respira affatto l’aria da dittatura,
se non per i posti di blocco fissi ogni 100/120 km oppure all’imbocco di ogni viadotto fluviale,
a quanto pare considerato di interesse militare visto che non è possibile scattare foto al paesaggio.





I primi controlli sono più approfonditi, con tanto di domande su che minchia ci faccia lì e controllo documenti della moto.
Nei giorni a seguire avrò come l’impressione che si siano passati la parola, vista la superficialità , o totale assenza, dei controlli.
In questa prima giornata sperimento anche i due aspetti della polizia stradale:
una prima pattuglia poco dopo il melone mi da pacche sulle spalle e strette di mano e indicazioni per la strada.
Un’altra dopo Nukus mi ferma per la velocità e scopro che nei centri abitati la velocità max è di 60kmh.
Mi fanno vedere quanto sarebbe la multa, vorrebbero dollari, ma ne ho 5.
Di som non ne ho abbastanza. Ho ancora qualche rublo.
Quando gli dico –“ E vvabbò!... fatemi sta multa che la vado a pgare in banca a Khiva!”
lo Sbirro si convince a prendere tutto quello che c’è:
Una mazzetta a valuta multipla per un totale di non più di otto o nove euri.
Arrivo a Khiva poco prima del tramonto e, dopo le chiacchiere con lo scemo del villaggio e due tipi su un sidecar,
cerco da dormire trovando posto in un Bed and Breakfast gestito dal tipo che mi è sembrato più onesto.



Il posto è una parte della loro casa con camere su due piani.
La mia, una quadrupla, che occuperò da solo, è proprio di fronte all’ingresso.
Il giardino è diviso in due da un separee in legno e dall’altra parte le donne stanno preparando la cena mentre i bambini scorrazzano e fanno caciara.
Ci accordiamo per il prezzo, intorno ai 15 dollari che forse è un pò alto.
Lui è leggermente scuro di carnagione, con gli occhi neri e profondi che mi fissano un po imbambolati.
Mi fa mettere la moto nel cortile coperto, di lato ai due divani per guardare la tv da un sacco di pollici tenuta sotto la tettoia e di fronte a un tavolo per la colazione sotto la veranda.
Ci accordiamo per un cambio di denaro e io stupidamente gli dico come cifra quella che indica il convertitore di valuta sul mio telefono.
Lui fa una faccia perplessa mentre io memorizzo la cifra.
Lascio i dollari a lui, dice che me li cambierà appena possibile, dato che ora non ha som.
Mi dice anche che se voglio l’indomani può portarmi da un suo amico carrozziere per risolvere il problema del porta targa.
Ok, domani vediamo. Metto il melone in frigo, insieme alle borracce piene d’acqua.
Penso che quello sarà il mio dopocena o il pranzo di domani.
Dopo una doccia beata nel bagno pulitissimo scambio due chiacchiere veloci con una coppia di italiani,
dopodiché mi collego a Facebook per annunciare agli amici il nuovo colpo di scena e fare una ricerca sui traghetti sul mar nero.
A questo punto sarebbe buono trovare un traghetto che mi porti da Sochi (ru) fino a Istanbul o dintorni.
Ma non c’è più da qualche anno.
Riesco a trovare solo navi della UKR Ferry che mi porterebbero in Ucraina o in Bulgaria dopo una giornata di navigazione.
Poi tornare da lì richiederebbe altri giorni di viaggio nel viaggio.
Insomma, non trovo soluzione a questo dilemma del ritorno, né informazioni sulla frontiera di Kazbegi che, se fosse aperta, sarebbe risolutiva.
Mentre sto lì a bere una godutissima birra, un’ austriaca ospite della locanda mi saluta e prova ad attaccare bottone chiedendomi del mio viaggio in attesa di andare a cena con la sua amica che si sta preparando.
Mi rendo conto dell’aria da scoppiato che ho, quando riesco a farla fuggire parlandole del fatto che
volevano farmi desistere dal proseguire il viaggio e del mio non riuscire a darmene una spiegazione.
In quel momentomi vedo come uno scappato dal manicomio con le manie di persecuzione.
Il fatto è che in questa lunga giornata che mi ha portato a Khiva ho avuto modo di riflettere su quanto accaduto.
E mi sono convinto che possono esserci due motivazioni per le parole di Samat.
La prima è il desiderio di fare una buona azione tutelando la mia incolumità,
evitandomi una brutta fine vista la dimostrazione di cazzonaggine nel deserto:
avrà pensato a me come il cittadino occidentale che fa una vacanza in luoghi esotici credendosi un avventuriero ma
assolutamente inconsapevole della difficoltà del territorio.
Questa buona azione sarebbe stata un jackpot milionario per la sua raccolta punti per il loro paradiso.
L’altra, che mi convince di meno, è che non abbia accettato l’idea che qualcuno di straniero violasse quella terra così dura proseguendo in Uzbekistan.
Ovvero: io mi sento figo e macho perché vivo qui. Se chiunque può passare da qui allegramente,
allora io non sono più così figo e macho.
Un po come se io dicessi a un biker tedesco di non andare sulla costa Jonica calabrese che c’è rischio di morire sparati in fronte:
mi circonderei di un’aura da duro non da poco impressionando il visitatore teutonico.
Di certo c’è una cosa, caro Samat: ho fatto 50 km prima di rimanere impantanato sul suolo piatto di un deserto.
Ma sono sicuro che tu in Aspromonte chiameresti i soccorsi dopo la prima vallata.
Fatto sta che qui ci sono arrivato e non era tutta st’impresa farlo.
Di strada veramente brutta erano solo 80 km.
La benzina l’avrei trovata dopo 250 km.
Il russo lo insegnano a scuola e anche i bambini lo parlano e ogni B&B ha una connessione wi-fi perfettamente funzionante.
E finora non ho visto una donna che sia in evidente stato di sottomissione.
Certo fa caldo. Ma dopo la giornata a piedi nel deserto non è più così insopportbaile.
Mi sento un po’ spossato e ho sempre sete, ma ormai mi ci sono abituato.

Per la cena il Tipo mi suggerisce un posto lì vicino, poco fuori le mura della città, frequentato da gente locale e poco costoso.
Mi dirigo verso il posto dopo essere rimasto perplesso dalla sua faccia:
ha qualcosa di diverso da prima ma non riesco a capire cosa, forse l’espressione un po più buia.
Il locale è in pieno stile Uzbeko.
Ha una grande veranda sostenuta da colonne di legno intagliato dove, oltre ai tavoli sul lato esterno,
ci sono dei tavolini bassi su pedane dove si mangia scalzi e a gambe incrociate.
Ordino roba di carne e una birra e siedo fuori a fare foto agli avventori.
Sul palco ci sono degli strumenti e con una telecamera stanno intervistando una donna con l’aria da cantante.



Sono l’unico straniero lì in mezzo fino a quando non
sento una voce conosciuta parlare l’italiano dei tedeschi nei film di Totò:
E’ Goffredo, quello del Rally London- Tashkent.

Mi dice che i vari equipaggi si sono un po sparpagliati:
I ggiovani a fare free camping mentre lui, il Turco ablante e il Motociclista stanno a Khiva ma in alberghi diversi.
Ho un fremito di goduria al pensiero di Mr. Bermuda portato in caserma dalla polizia,
essendo il campeggio libero severamente vietato in Uzbekistan.
Vediamo insieme lo spettacolo.
La donna canta e balla accompagnata da una percussione simile alla tammorra napoletana, una fisarmonica e un cordofono simile a un mandolino allungato.
Suonano musica tipica e alla fine coinvolgono i presenti facendo iniziare le danze.
Ogni tanto il gruppo danzante si fa promiscuo, ma la regola pare essere “ i masculi cu i masculi, i fimmini cu i fimmini” .
Io e Goffredo siamo felicissimi di essere gli unici stranieri ad assistere a questo spettacolo in una minuscola citta in un angolo remoto del globo.







Dopo un po di chiacchiere sulle nostre vicissitudini e sulle nostre vite
( ha vissuto per anni a Roma poi, finita la storia che lo aveva portato lì, è ritornato in Germania)
entriamo insieme nella città attraversando la fortificazione.
Il suo albergo è una splendida scuola coranica riadattata a 4 stelle appena entrati dalla porta est.
Ci salutiamo con l’augurio di ribeccarci più avanti.
Non ci rivedremo mai più.
Mi incammino per le vie della città, ormai diventata una bomboniera per turisti,
piena di locali per occidentali ma dignitosamente in stile uzbeko.
Tutti vendono alcoolici senza fare problemi e mi viene in mente che l’anno prima in turchia
passavo intere giornate senza toccare alcool.
Dai cortili dei ristoranti e dagli internet cafè giungono voci di gruppi di italiani,
che per il loro volume stridono con la sommessa educazione degli autoctoni che, anche quando sono grezzi, non sono mai volgari. Passeggio da solo un po immalinconito.
Stasera accuso un po il peso della solitudine, forse perchè fare il turista da solo è più dura che fare il viaggiatore solitario.
La città è bellissima con i suoi portali, i cortili e le texture delle maioliche.
Anche gli edifici in mattoni a vista sembrano esprimere la devozione a un dio che ha bandito la rappresentazione degli esseri viventi, osannato attraverso l’ incastro geometrico: non c’è un solo segno che si perda nel nulla. Ogni geometria occupa il suo posto all’interno di una più grande che la contiene e non c’è una sola figura, in quell’abbondanza semiotica, che sia di troppo o che fluttui libera. Gli unici segni a essere svincolati sono le iscrizioni in arabo. E chissà cosa dicono.











Sarei tentato di entrare in un Caffè a prendere una vodka e magari attaccare bottone con dei turisti, magari italiani. Ma mi rendo conto di non avere voglia di mettermi in mezzo a un gruppo di turisti organizzati e spararmi le pose del cavaliere errante. No, sento che nessuno in questo momento potrebbe capire cosa sto vivendo e provando. Nessuno che si stia muovendo in gruppo alla ricerca di monumenti inseguendo una guida, cercando di vedere più cose in una giornata con un pulmino a noleggio. E no, non capirebbero cosa vuol dire arrivare qui mangiando sabbia e moscerini mentre ci si ustiona l’interno coscia col collettore della marmitta, che per il troppo caldo non si raffredda mai. Non capirebbero quanto vale aver percorso su due ruote ogni singolo metro dall’ovest della Grecia, sbagliando strada, parlando con le persone, dormendo con sconosciuti e facendo cazzate. Preferisco bere una bottiglia da un litro d’acqua comprata a caro prezzo da gente del posto, con la bancarella davanti casa e scambiare sorrisi con loro. Le parole non sono tante ma davvero non servono per sentirsi accolti. E questa gente sa accogliere davvero. Vado a dormire deciso a ripartire l’indomani. Khiva l’ho vista, ho onorato la bomboniera turistica. Domani andrò verso Buchara. Il tipo della locanda mi ha gia dato indicazione su dove alloggiare. Dopo un paio di sigarette fumate in veranda vado a nanna. Non riesco a non pensare a che cazzo di strada fare per tornare a casa.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 04/02/2013 10:04 #7284815

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:up:
..salta in sella al TéNéRè!!!

MEGLIOMONOCHEBOXER
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Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 04/02/2013 15:34 #7284907

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Ma insomma... con il tizio del cambio, come è andata a finire?!? :?: :?: :?:

:ciao:


Il mio vecchio SWM 125 Six Days ER sarebbe fiero di me...

"Gira che è una meraviglia!"

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 04/02/2013 16:56 #7284949

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ho perso il conto dei giorno

ho l'impressione che stai fuori da mesi

ha quanto siamo arrivati?

ciao

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 04/02/2013 18:45 #7285030

:D :D :D :D
Siamo al 18 agosto, partito da brindisi la sera del 31 luglio...
E questo è l'effetto del racconto a puntate.....

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 07/02/2013 18:08 #7286275

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non pensare a quale strada fare per tornare a casa....sappiamo benissimo che non vedevi l'ora di tornare in Kazakhistan :motoretta:
... UN VIAGGIO DI MILLE MIGLIA DEVE COMINCIARE CON UN SOLO PASSO .

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 08/02/2013 00:49 #7286447

:D :D :D :D :D :D :D :D :D

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 12/02/2013 12:07 #7287966

Bello bello, me lo sono sparato tutto in un colpo, complimenti davvero......sana invidia.
Più vecchio è il toro più duro è il corno.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 13/02/2013 14:28 #7288394

...e adesso? quanto dovremo aspettare per il prossimo capitolo? :(

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 13/02/2013 15:36 #7288412

Ho scoperto questo topic solo ieri...l'ho letto tutto d'un fiato....
Sei un Mito! Oltre ad essere una persona profonda e con un animo gentile...
Ed ora? Dai...metti l'altra puntata... :ciao:
"La moto è come una ragazza. Dipende dalla carburazione: grassa va piano; magra, si spacca"

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 13/02/2013 16:28 #7288425

Capitolo 6




La sveglia suona presto, ma me ne fotto quanto basta per alzarmi con calma senza fare tardi.
Mi accorgo di non aver messo a caricare l’Actioncam e neanche l’interfono avrà vita lunga.
Faccio colazione quasi in contemporanea alle ragazze austriache che, ascoltando la conversazione tra me e il Tipo della locanda, paiono essersi ricredute sulla mia immagine, in particolare la bionda che era scappata all’arrivo dell’amica.
Cerca di recuperare in qualche modo, ma il mio orgoglio ferito mi fa assumere un atteggiamento del tipo “vafanculu principessì”.
Il tipo mi dice che ha cambiato i soldi e quando me li da mi accorgo che, prima volta nella mia vita, sono un po di più rispetto a quanto dice il convertitore.
E certo! Qui il cambio è al mercato nero, e la guida lo diceva pure.Solo non pensavo fosse praticato in questo modo.
In pratica è quasi inutile andare in una banca a cambiare soldi: ogni attività commerciale, chaikhana, venditore di benzina o di frutta o di quello che vuoi tu ti cambierà i soldi.
Questa cosa è perfettamente tollerata dal governo centrale e permette a chi opera nel turismo di avere un piccolo margine di guadagno sul cambio senza però fottere il turista.
O almeno è quello che ho capito nei giorni a seguire.
Altra cosa che scopro è che non esistono tagli più grandi della banconota da mille, praticamente il costo di un the.
Nei giorni della mia permanenza in Uzbekistan vedrò la gente andare in giro con borse piene di banconote,
buste di plastica piene di banconote,
buste da lettera grandi piene di banconote,
carpette, agende, riviste pieni di banconote.
Le carte di credito esistono ma da quello che ho capito sono un po l’equivalente dei nostri bancomat, per cui lasciate perdere visa e mastercard.
Mentre sono lì col Tipo a contare le banconote, tante banconote, un’auto si ferma davanti alla veranda e scende il Tipo.
Un altro uguale.
E sì, cazzarola sono gemelli.
E ieri li ho incontrati entrambi separatamente, per questo il Tipo mi sembrava strano!
Sebbene non si vedano dalla sera prima, i due gemelli si salutano abbracciandosi.
Saluto anche io il doppio del Tipo porgendogli entrambe le mani e quando gli racconto del mio smarrimento della sera prima ci facciamo una gran risata insieme. L’Austriaca saluta dicendo che magari ci incontriamo a Buchara.
Vai gioia, vai! Buon viaggio!
Il Tipo continua a raccontarmi della vita da quelle parti.
E’ giovane. A ventotto anni è gia sposato da un anno.
Mi racconta della sua festa di matrimonio durata giorni, della strada di fronte casa chiusa al traffico per la folla dell’occasione, delle spese affrontate per un evento importantissimo nella vita della comunità.
A sto giro però nessuno mi fa il terzo grado sul perché io non sia sposato, ma preferisce riempirmi di domande sull’Italia e sul mio viaggio.
E al mio racconto di come sia arrivato fino a Khiva i suoi occhi si perdono verso l’alto come a guardare su un grande schermo e di continuo mordicchia il labbro inferiore scuotendo la testa.
Ci salutiamo con un abbraccio dopo aver ricevuto in dono una bottiglia d’acqua per il viaggio.
La carico insieme al melone fresco di frigo che non ha voluto dividere con me: -“La strada è lunga e ne avrai bisogno!”.

Imposto il navigatore con destinazione Buchara.
Sono un bel po di km, ma il tempo oggi è con me, anche in senso meteorologico.
Khiva si trova in un’ area abbastanza verdeggiante e le temperature sono paragonabili a quelle calabre in Agosto.
Cerco un benzinaio aperto ma a quanto pare anche da loro domenica è giorno di chiusura.
Mi dicono di provare al mercato nero nella strada più avanti .
E infatti appena girato l’angolo un sacco di persone stanno davanti casa loro con dei banchi improvvisati a esporre damigiane da 5 litri di benzina, coi garage domestici aperti alle spalle.
Sempra una sagra dell’olio per quanta gente ronza intorno ai venditori e per il colore del liquido in vendita.



La benzina è senza dubbio a 80 ottani e magari anche sporca, ma almeno non mi possono imbrogliare sulla quantità.
Pago una damigiana da 5 litri, ma me ne avanza un mezzo litro che lascio al venditore.



Gli adulti e i bambini lì intorno mi guardano incuriositi e una ragazzina prova a snocciolare quel poco di inglese che conosce.



Dopo aver attraversato qualche villaggio la strada si inoltra nuovamente in una zona desertica ma benedetta dalla vicinanza al fiume, viste le case e gli orti che circondano la strada. Per il resto il paesaggio è fatto da stazioni di servizio e chaikhane.



Ennesimo controllo su viadotto fluviale e la strada prosegue costeggiando un canale artificiale, grande quanto un fiume, che convoglia l’acqua verso una diga qualche km più avanti.
E’ stranissimo vedere una massa d’acqua così grande correre dritta in mezzo al giallo della sabbia fine del deserto.







Faccio un bagno o non lo faccio? Ma sì dai ! Da quando son partito non mi sono immerso da nessuna parte, e in un viaggio così dedicarsi al tempo perso non è perdere tempo. Anche perché fa di nuovo un caldo boia.
Accosto la moto, scendo lungo la scarpata, mi spoglio e mi lancio in acqua in mutande.
L’acqua è ghiacciata ma piacevolissima e subito mi riprendo.
Provo a fare una nuotata ma appena mi allontano da riva sento la forza della corrente che mi fa desistere.
Ogni tanto dai pulmini e dalle auto qualcuno mi saluta.
Mentre mi cospargo il corpo con il fango del fondo per scartavetrarmi un po mi accorgo che il pastore dall’altra parte del fiume non sta parlando al telefono a voce alta.
Semplicemente parla da solo ad alta voce e ride fragorosamente come fosse un montone.
Sì, esattamente parla con la voce di un montone.





Sta lì accovacciato in mezzo al suo gregge, senza nessuna copertura che ripari lui dal sole e la sua mente dalla cottura.
Mi urla qualcosa in Uzbeko, gli rispondo qualcosa in Calabrese.
Fumo una sigaretta mentre mi rivesto senza asciugarmi in modo da rimanere più fresco.
Saluto il montone e riparto convinto di farmi una bella tappa, ma dopo meno di un km incontro un villaggio di case di fango



e un signore con due bambini che vende frutta a bordo strada.

Scambiamo due chiacchiere e mi invita a casa sua.
Io ringrazio ma rifiuto e proseguo.
Poi però mi viene in mente che comunque dovrò mangiare. E chissa quando mi capita più che un uzbeko mi inviti a casa sua.
Tra l’altro non ci andrei neanche a mani vuote, essendo dotato di melone da trasporto.
Torno indietro e trovo ad accogliermi un sorriso smagliante.
Lascia lì il cesto con la mercanzia, mi indica dove parcheggiare nello spiazzo e andiamo a casa.
Gli dico che ho portato un melone e che vorrei dividerlo con loro.
Lui sorride, ringrazia e prendendolo fa andare uno dei suoi figli a prendere un’anguria da regalarmi. E non posso che accettarla.
La casa è a un solo piano, semplice ma grande.
L’ingresso da su un grande soggiorno coperto di tappeti e in linea con la porta d’ingresso c’è quella che da verso la cucina e le camere, area che non visiterò. Il caldo si avverte anche dentro, forse per il tetto in lamiera non coibentato a sufficienza. O più semplicemente perché oggi è diventatato davvero torrido. Sediamo a un tavolo basso , lui capotavola, io a destra e ancora alla mia destra il padre.
Di fronte a me i bambini che mi scrutano sconcertati e con gli occhi spalancati.



Le due donne portano di tanto in tanto cose da mangiare. Ci stanno dolci, frutta varia, insalata.
E il melone che il mio Amico taglia sorridendo felice.
Lo fa con gesto amichevole e leggero, ma vi si legge una certa solennità dell’azione.
La conversazione inizia ovviamente col mio viaggio e piano piano si sposta sui rispettivi paesi.
Ogni tanto ci sono degli intoppi ma troviamo sempre il modo di capirci.





Mi dice di essere a conoscenza della crisi in cui versa l’Italia e mi chiede come sia la situazione da noi.
Parliamo del lavoro, della politica impazzita, del popolo che non ce la fa mentre i potenti dormono tranquilli.
E lo facciamo mangiando con le mani nello stesso piatto.
Quando tocca a me chiedere lumi sul paese che sto visitando ricevo una bella sorpresa.

-“ Nash Presidient occinh kharashò!” dice il mio Amico puntando l’indice verso l’alto. “il nostro presidente è molto buono”.
Ad istinto mi sembra l’affermazione di un povero contadino che vive nell’ignoranza e che non conosce altro che il suo villaggio.
Prosegue dicendo che lo stato è efficiente e agevola la vita del popolo.
Il Loro Presidente gli ha assegnato il terreno su cui hanno alzato in quindici giorni la loro casa, fatta di mattoni di fango e paglia essiccati al sole.
Sul loro terreno coltivano alberi da frutta, grano, riso, cipolle, peperoni, peperoncini, patate, frutta varia.
Allevano galline, pecore e mucche e producono quanto basta al loro sostentamento e hanno il permesso di vendere il surplus di produzione.
Mi dice che l’assistenza sanitaria e medicinali sono gratuiti, che la scuola e i libri sono gratuiti.
Che per ogni figlio c’è un contributo mensile di qualche migliaio di Som.
Che sono pochi ma ci sono.
Mi dice –“ io non ho un lavoro, ma ho tutto quello che mi serve per vivere e mandare avanti la mia famiglia”.
Mentre dice questo mi guardo intorno.
La casa ha arredi abbastanza pacchiani, ma ci sono i riscaldamenti costituiti da un tubo d’acciaio da 7 o 8 pollici che gira su tre pareti e finisce in un cilindro di diametro maggiore. E’ la forma peggiore per un calorifero. Ma è un calorifero.
Mi accorgo che in sottofondo la TV è rimasta accesa su FOX Crime.
Chiedo : -“ Sputnik televizor?”
Risponde: -“ Da,da… Sputnik televisor!”
Hanno la tv satellitare, quindi sono collegati col resto del mondo.
Le cose che mi ha detto non sono frutto di un lavaggio del cervello imposto da una voce unica come avviene nelle dittature.
Loro hanno un riscontro col resto del mondo.
Dovrebbe essere una dittatura, ma hanno tutto quello per cui nelle democrazie scendiamo nelle piazze a prendere mazzate da poliziotti che se non fossero tali protesterebbero anche loro.
La scuola, gli ospedali, la casa.
In Italia devi sperare di non ammalarti, non devi alzare la testa davanti a chi ti da un lavoro.
Se ti sbattono fuori sei fottuto, puoi andare a dormire sotto un ponte o tornare da mammà.
Lui non ha un lavoro, ma mantiene il padre e la sua compagna, i figli e ospita uno straniero a pranzo.
Forse non ha un’ automobile, sicuramente non ha mai fatto un viaggio. Ma cazzo vive e pure bene.
Dopo questo discorso faccio per andarmene, un po per la depressione in cui mi ha buttato ma di più perché si è fatto tardi.
Lui insiste nel trattenermi e sta quasi per offendersi perché le donne stanno cucinando una specialità per l’occasione.
Chiaro che saputo questo non posso che trattenermi ancora.
Non voglio offendere nessuno che mi abbia accolto così.
La fretta mi sembra non essere concepita da queste persone e penso che , almeno in quest’occasione, posso concedermi un po di calma e imparare qualcosa da loro.
In fondo è anche questo il benevolo sequestro di persona dell’ospitalità islamica.
Anche lui mi dice che avere un ospite sono punti in più per il paradiso che vanno a loro.
E qui oltre alla raccolta punti ci vedo gente che davvero è felice di avere un viaggiatore con loro per qualche ora.
Il mio jackpot di punti lo prendo invece perché arrivato il momento del ringraziamento per il cibo (che lui ha pronunciato anche all’inizio del pasto)
nessuno mi ha dovuto dire cosa fare e ho partecipato in automatico.

Mentre chiacchieriamo prendo confidenza con i bambini, in particolare con una delle figlie che mi guarda fisso e ride ogni volta che ringrazio.
Quando mi porgono qualcosa, nel ringraziare abbasso la testa e mettendomi la mano destra aperta sul cuore dico “spasibo” quasi sussurrandolo.
Lei inizia a prendermi in giro guardandomi e facendo la stessa cosa, per poi finire in una gran risata che si porta dietro tutta la tavolata.
Le donne portano la specialità, una sorta di focaccia con qualcosa dentro, mentre i bambini cominciano a provarsi il casco,
le bambine con i foulard in testa iniziano a ballare e un poliziotto americano su FOX Crime analizza i resti di un cadavere squartato.









Prima di andare mi fa vedere il loro piccolo orto e i mattoni al sole ad essiccare, impastati con il fango dello stesso terreno, e mi fermo a guardare alcuni dettagli della casa, come la scossalina alla base dell’intonaco. Vedo che anche quello è fatto di paglia e fango. Gli chiedo se da loro piova in inverno.
-“Sì, nevica pure!”
-“ E come fate con questo (indicando l’intonaco)”
-“ Niente. Impastiamo e ripassiamo di nuovo!”







Non posso non pensare alla italica burocrazia per i lavori edili.
Saluto anche loro con un abbraccio dopo aver sistemato il cocomero sotto l’asciugamano.

Vado via portandomi la domanda su cosa sia a fare davvero la felicità di un popolo.
Questi pensieri durano poco.
Subito dopo la diga si gira a destra e inizia la lunga strada per Buchara.
Un rettilineo di sterrato, pietrisco, cemento, asfalto sbriciolato in rifacimento e ampliamento.

grooveshark.com/s/Ikyadarh+Dim/3Hlglz?src=5



La statale è molto trafficata non solo da auto ma anche da pullman e camion che alzano discreti polveroni.
E anche da due motociclisti tedeschi in sella a una R1150 che viaggiano in direzione opposta alla mia.
Vengono da Buchara e stanno facendo un giro abbastanza lungo che mi fanno vedere sulla maglietta che indossa lui.
Il giro completo non lo ricordo perché un particolare cattura subito la mia attenzione: il giro passa dalla Russia e finisce in Georgia a Tbilisi!
Chiedo subito se hanno informazioni sulla frontiera di Kazbegi perchè, ormai lo sapete, se fosse aperta per me sarebbe una svolta.
Loro dicono di aver avuto conferma dallo spedizioniere georgiano che imbarcherà la moto che sì, è aperta.
Vagamente inizio a paventare l’ipotesi che una provvidenza possa esistere davvero.
Oltre alle dritte sulle strade che faremo rispettivamente (visto che faranno anche loro la frontiera di Nukus) ci scambiamo i numeri di telefono.
Siamo d’accordo che il primo che arriva a Kazbegi conferma l’apertura o meno del posto di frontiera.
Continuo la mia strada che mi dicono i tedeschi sarà così per 200 km. Dopodichè troverò l’asfalto nuovo di zecca

Duecento km non sono tanti su asfalto, ma su una strada così diventano interminabili.
Anche per le migliaia di buche, che ogni tanto si è costretti a prendere per sorpassare un camion o un auto che sollevano nubi di polvere così fitte da non vedere a un metro.
E con sommo dispiacere mi accorgo durante una sosta che il cocomero è esploso su una di queste buche.
Il succo rosso cola su sedile e catena, che sembra ci abbiano squartato un maiale sopra.
Decido di mangiare il mangiabile lì sul posto.



Peccato, speravo di giocarmelo più avanti in un’altra botta di condivisione ma la strada ha voluto così.
Mi chiedo cosa avranno pensato i passeggeri dei pullman vedendo un motociclista mangiare un cocomero fracassato a bordo strada in mezzo alla polvere.
Su queste strade si incontra spesso gente rimasta a piedi. Ci sono quattro ragazzi che spingono una macchina. Gli dico che se hanno un tubo posso dargli un po di benzina per arrivare al distributore. Ringraziano con la mano sul cuore, ma il problema non è la benzina.

Il paesaggio è notevole: la strada corre poco distante dal confine turkmeno e in lontananza si vede un lago che divide i due stati.












Mi fermo a un chiosco poco distante dal confine a bere qualcosa di zuccherato. Prendo una fanta da 1,5 litri che divido con i tipi al chiosco.
Beviamo tutti dalla stessa bottiglia e mi sembra la cosa più naturale del mondo.
Farò un’altra sosta all’inizio della strada asfaltata in una chaichana con qualche camionista russo, bevendo tre the accompagnati da altrettante sigarette e suscitando l’attenzione e i sorrisi dorati della proprietaria, sotto lo sguardo divertito del padre. Finalmente al calre del sole sono di nuovo sull’asfalto.
Da qui a Bukhara c’è un altro centinaio di km di asfalto tutto sommato buono in diversi tratti invaso dalla sabbia fine per molte centinaia di metri su cui ho sinceramente paura di perdere il controllo dell’anteriore e finire a terra.
In uno di questi tratti trovo un tir finito completamente fuori strada e insabbiato di traverso.
Il conducente è seduto a bordo strada con faccia disperata.
Gli chiedo se ha chiamato i soccorsi e, quando mi dice di non avere telefono, gli offro il mio per telefonare.
Facciamo tira e molla un paio di volte: sarebbe tentato di usarlo ma forse non sta bene chiedere aiuto a uno straniero.
Dirò quanto ho visto due volte più avanti: la prima in un posto in cui mi hanno proposto di fermarmi per la notte, l’altra ad un posto di controllo della polizia.
In entrambi i casi non fotte niente a nessuno del povero camionista.
Anche se insisto mi rispondono cose del tipo che prima o poi qualcuno lo aiuterà, o che gliel’hanno gia detto. I poliziotti sono più interessati a sentire il rombo della moto e a chiedermi di impennarla. Non mi torna proprio il contrasto tra l’ospitalità per lo straniero e la strafottenza per il connazionale.

Arrivo a Bukhara che è sera inoltrata.
Casualmente mi portano al B&B indicatomi dal tipo a Khiva.
Varcato il grande portone in legno , all’interno della corte su cui si sviluppano tre piani di edificio, ci stanno due moto parcheggiate e attrezzate da viaggione: un’Africa Twin e una Dominator.
Sono di Andrè e Alexandra, due tedeschi che due anni fa hanno spedito le moto in australia e piano piano stanno tornando verso casa.
Con loro ci stanno due russi, Slava e un altro di cui non ricordo il nome.
Vado a prendermi da mangiare e da bere alla bottega dietro l’angolo appena sistemate le cose in camera.
Ci vado a piedi nudi e la gente del posto mi guarda stranita.
Mangio con i russi e i tedeschi il mio scatolame appena comprato e facciamo un po di chiacchiere.
La prima impressione su Slava non è buonissima. E’ grosso, proprio grosso e a tratti arrogante.
Parla dell’addestramento nell esercito russo e delle missioni in Cecenia per scovare e distruggere i “terroristi”.
Parla del fatto che per lui Russia vuol dire sua moglie, sua figlia, quanto di più caro abbia al mondo.
Penso che il mondo è davvero strano e fare un viaggio di questo tipo renda tutto ancora più strano:
una settimana fa ero in casa con un Ceceno la cui famiglia è stata decimata dall’ esercito russo, ora qui con un russo che a suo dire combatteva i terroristi ceceni.
Mi chiedo se per caso Slava e Rizo non si siano incontrati in circostanze poco pacifiche e piacevoli.
L’altro russo e più taciturno, forse perché non parla inglese neanche un po.
I tedeschi mi consigliano subito di stare lì almeno due giorni, se proprio vado di fretta.
Dicono che Samarcanda è fattibile in un giorno, mentre Bukhara merita di essere vista con una certa calma.
Accolgo il loro consiglio mentre saluto per andare a nanna.
Saranno stati i racconti di guerra, il nazionalismo o semplicemente la stanchezza, ma le cose che più bramo sono una doccia e un letto.

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 13/02/2013 20:29 #7288547

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Spero che non venga travisato quanto scriverò adesso:

Il tuo racconto è come il cocomero che ti sei portato in moto.

In che senso?!?

Nel senso che stai rappresentando uno "spaccato" della, anzi, delle società che hai incontrato.
E' chiaro che non ci possa essere pretesa di scientificità e non potrebbe essere altrimenti visto che il caso ha una grossa parte in tutto il viaggio.

Proprio come il cocomero che si è spaccato secondo linee casuali lasciando intravedere solo alcune parti del suo interno.

Mah... Sarà che devo ancora cenare... :mrgreen:

In ogni caso, hai un stile di scrittura che si fa leggere con piacere!

:ciao:


Il mio vecchio SWM 125 Six Days ER sarebbe fiero di me...

"Gira che è una meraviglia!"

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 13/02/2013 21:23 #7288576

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Io sono sempre più rapito dai tuoi racconti dai quali ribadisco arrivano tutte le emozioni che hai provato.. :oops: :up: :flex:
..salta in sella al TéNéRè!!!

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Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 14/02/2013 12:26 #7288745

Grazie Ale, e anche a fernik e a chi ha beccato il racconto solo ora. spero di portarlo avanti
in maniera decente fino alla fine.
Riguardo allo spaccato di società: sì, senza dubbio attraversare velocemente e senza fermarsi più di tanto dei territori non permette una visione
totale ne onnicomprensiva delle società che vi risiedono. Ma è quanto basta per farsi un' idea. più avanti nel racconto avrò comunque la conferma
di quanto appreso in questa famiglia. datemi un po di tempo e vi dirò tutto 8)

Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata. 14/02/2013 16:11 #7288862

Veramente molto avvincente e ben raccontato, continuo a seguirti.....mi piace il tuo modo di viaggiare.
Più vecchio è il toro più duro è il corno.
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